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Con poco più di settemila abitanti e mitologiche origini nell’età magno greca, Caulonia è situata a metà strada fra la costa jonica reggina e l’Aspromonte. Nel marzo 1945, proprio in quest’angolo di Calabria, anche se la storiografia ufficiale ha fatto di tutto per dimenticarsene, nacque la prima Repubblica italiana. Stiamo parlando della cosiddetta: “Repubblica rossa di Caulonia” che avrebbe potuto rappresentare un vero e proprio punto di svolta epocale nella storia dell’Italia intera.
Scacciato dal Sud d’Italia il regime fascista dalle truppe Anglo Americane, mentre ancora non era chiaro il futuro dell’intera Nazione, infatti, un manipolo di contadini stanchi delle angherie degli agrari tentò di far sorgere proprio a Caulonia “il sol dell’avvenir”. D’altronde, da secoli in Calabria convivevano ingiustizie sociali e sogni millenaristici che, ciclicamente, finivano con l’affiorare più o meno violentemente nella realtà o nei sogni di grandi uomini.
Non è un caso che nacque a Stilo, poco lontano da Caulonia, quel Tommaso Campanella che, al tempo della dominazione spagnola, sognava la sua “Città del Sole”: uno Stato comunista ante litteram con tutti i beni in comune, donne e terre comprese. Fin dall’ottobre del 1943, come nel resto della Calabria, anche a Caulonia erano state riaperte le sezioni del Partito Socialista, del Partito Comunista e le Camere del Lavoro della Cgil. Tutti soggetti che vagheggiavano la distribuzione ai contadini delle terre incolte.
“Poti mai a guerra fari carchi beni? – canta in una sua ballata il cantastorie siciliano Fortunato Sindoni – pi puveriddi, in particolari, s’ assummanu la fami e li peni! Così la vita non poti durari: assuggittati a sti tinti jeni! Cu tena assai si l’avi spartiri cu puvareddu ca sta pe muriri!” (…). Nta tutt’Italia si sentì na scossa, c’è cu pinsò: Cci di fannu fissa! Firmamu, prestu, prima ca si ‘ngrossa stu comunismu sinnunca ‘nd’ abissa! S’u populu, cu a scusa da riscossa, si svigghia finalmente di sta lissa,nni fa pagari tutt’i cosi storti pi comu li tinimu a mala sorti!”.
A guidare il movimento popolare di Caulonia l’insegnante Pasquale Cavallaro, già perseguitato e confinato politico dal Regime fascista, che fin dal 1943 aveva aderito al Partito Comunista Italiano. Nel 1944, aiutato da quella Federazione provinciale comunista che non tardò a voltargli le spalle, Cavallaro fu nominato sindaco dal prefetto di Reggio Calabria Priolo. Temendo ripercussioni sulla situazione locale, la reazione dei proprietari terrieri non si era, però, fatta attendere. Ciò che accadde dopo lo descrive Vito Teti in un articolo uscito nel giornale on line “L’Altra Calabria”.
“Si assiste ad una serie di gravi provocazioni che culminano nell’arresto di Ercole Cavallaro, figlio di Pasquale, accusato di furto ai danni di un notabile, nel corso di una perquisizione per sottrarre agli agrari armi e generi alimentari nascosti. L’arresto ha come effetto una mobilitazione popolare immediata. La notte del 5 marzo 1945 gruppi d’insorti presidiano armati Caulonia; nel giro di poche ore la rivolta si estende ai comuni vicini coinvolgendo migliaia di persone. Occasionali furono il motivo e la data della rivolta, ma essa era stata preparata da anni di mobilitazione e propaganda politica. La rivolta vera e propria dura cinque giorni, dal 5 al 9 marzo, nel corso dei quali i rivoltosi proclamano la «Repubblica» ed elaborano proprie strutture difensive e di controllo (esercito popolare) e istituiscono un tribunale del popolo”.
Tanti e tali furono i fermenti che si registrarono a Caulonia che furono in molti a temere che l’esperienza di Caulonia potesse estendersi alle cittadine vicine. Subito fu liberato Ettore Cavallaro, ma la Magistratura ed i Carabinieri presero accordi con la Federazione provinciale del Pci e Ia Polizia circondò la cittadina. Il parroco, don Gennaro Amato, fu ucciso da Ilario Bova, un contadino del luogo, e Pasquale Cavallaro, accusato di essere il mandante dell’omicidio, dovette dimettersi.
A sostituirlo, dapprima il segretario provinciale del Pci, Eugenio Musolino e, dopo qualche tempo, l’agrario Giovan Battista Lombardi. Contemporaneamente, fu durissima la repressione da parte dei Carabinieri. Ad organizzarla fu inviato il maresciallo Mura che, per la propria storia personale, era inviso alla popolazione. Lo stesso maresciallo, infatti, già negli anni precedenti, era stato accusato per la violenza adottata in simili situazioni e conteneva a circondarsi di numerosi amici sia fra gli ormai ex fascisti che fra i nobili latifondisti cittadini.
Ben presto la rivolta e l’esperienza della “Repubblica rossa di Caulonia” furono sedate, nonostante i molti strascichi nella difficile convivenza cittadina. 356 furono i processati dal Tribunale di Locri con l’accusa di aver fatto parte di bande armate, di estorsione, violenza a privati, usurpazione di pubblico impiego ed omicidio. A tali accuse si sommarono numerosi pestaggi tanto che due contadini morirono subito a causa delle torture. Intanto, Pasquale Cavallaro continuava a sperare in un aiuto del Partito Comunista provinciale, aiuto che, però, non avvenne.
“Quando scoppiò la rivolta di Caulonia (ad insaputa dei dirigenti provinciali e di quelli nazionali) – scrive Vito Teti – i moti di piazza e l’insurrezione armata non rientravano ormai nella linea e nella strategia politica del Partito. Proprio in riferimento ai fatti di Caulonia – aggiunge Teti – Palmiro Togliatti, nel discorso di chiusura al Consiglio nazionale del Pci, tenutosi a Roma l’8 aprile 1945, sottolineava che «certi compagni quando si chiedevano che cosa il Partito dovesse fare per frenare l’avanzata delle forze reazionarie non riuscivano a capire che la sola via possibile era quella di un’azione ampia, legale e disciplinata» e metteva in guardia contro le «volgari provocazioni» di quanti «fuori dal nostro partito o ai margini di esso […] con scopo ben determinato ripetono ad ogni passo che sarebbe venuta l’ora di menar le mani”.
A distanza di lustri, in un’intervista a Sharo Gambino, Pasquale Cavallaro descrive con lucidità ciò che era accaduto a Caulonia e ciò che ne sarebbe potuto seguire. A detta dello stesso Cavallaro, infatti, con la rivolta da lui capeggiata, “un gesto grande si è osato: un gesto che ha le dimensioni delle latitudini e il volto di un’umanità sofferente, che spezza le catene millenarie e aspira l’aere ribelle e giocondo di un’alba nuova di liberazione. Il mondo che io vagheggiavo – aggiungeva Cavallaro – doveva essere pieno di bellezza, di bontà, di vita civile per tutti, di liberazione da ogni oppressione, da ogni sfruttamento, da ogni negazione di quello che è il buon senso, di quello che è la logica umana, di quello che è la verità di tutti, e soprattutto vagheggiavo una giustizia corrispondente a tutto questo” .
Contrariamente a quando si potrebbe pensare, i soggetti di quelle epiche giornate avevano ben chiaro cosa sarebbe potuto scaturire dalla “Repubblica Rossa di Cauolonia”. Lo sottolinea, offrendo un’intensa rilettura dei fatti, la storica Amalia Paparazzo. “Nell’’analisi politica di Cavallaro – osserva la docente dell’Unical – Caulonia assume importanza fondamentale anche in relazione alle vicende della Germania e della Russia. A Caulonia sarebbe per prima scoppiata la rivoluzione socialista; nel resto d’Italia non si aspettava che il via di Cavallaro. Secondo molti, infatti, da Caulonia sarebbe partita la cosiddetta Marcia su Roma “proletaria”, non quella fascista, e che lungo il cammino si sarebbero accodati tutti gli altri.”
“Ci voleva un Cavallaro per ogni città”. Secondo alcune testimonianze, avrebbe detto così, commentando l’accaduto a Caulonia durante una trasmissione di Radio Praga, Stalin. Il Partito Comunista Italiano, però, non la pensò allo stesso modo e liquidò ben presto l’esperienza di Caulonia e della sua Repubblica. Erano, infatti, gli anni di quella svolta che avrebbe avviato nello stesso Pci quella che gli storiografi definirono “la doppia linea”.
Dopo il congresso di Salerno, infatti, la strada intrapresa dal Pci era quella dell’ auto legittimazione e del potere parlamentare. Se tutti gli imputati di sedizione furono amnistiati Cavallaro, come ha evidenziato il nipote Alessandro che all’esperienza del nonno dedicò anni di studio ed alcune pubblicazioni, non ottenne da parte del Partito l’attenzione che ricevettero altri partigiani ed esponenti dello stesso Pci ricompensati dal partito per la propria militanza antifascista. Solo al Sindaco comunista di Caulonia ed a pochi altri, invece, toccarono gli scomodi abiti eroe scomodo da accantonare nel più ingrato oblio. Proprio come a tanti altri precursori.
Francesco Rizza
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