SAN GIOVANNI INFIORE: IL 29 MAGGIO SI CELEBRAVA LA FESTA LITURGICA DI GIOACCHINO DA FIORE

Ultime notizie
Se fin dalle proprie origini il Cristianesimo fu percorso da eresie e scismi registrando particolarmente nel Medioevo numerose eresie; la più grave delle fratture nella Chiesa occidentale fu quella che si registrò con la Riforma protestante. Era da poco iniziato il XIV secolo quando la maggior parte dei Cristiani dell’Europa centro settentrionale si distaccarono dalla Chiesa romana, dando vita alle cosiddette Chiese riformate. Ad affiancare e fomentare tale rottura, dovuta dal punto di vista religioso ad alcune istanze filosofiche e teologiche relative principalmente al primato della fede, la nascita di alcuni Stati assoluti che intesero esercitare un maggior controllo sul potere temporale della Chiesa cattolica e sulle rendite del clero nei propri confini nazionali.
Ad iniziare la cosiddetta Riforma protestante fu il monaco agostiniano Martin Lutero che, nato nella Turingia tedesca, si distinse ben presto per il proprio fervore religioso unito ad una profonda vivacità intellettuale. Dal punto di vista teologico, come osserva Antonio Desideri in “ Storia e Storiografia: dalla crisi dell’Impero romano alla rivoluzione inglese”.“in netto contrasto con la concezione propria degli Umanisti sentiva alla maniera medievale la rilevante indegnità dell’uomo, solo e impotente di fronte alla inaccessibile altezza di Dio (…). Tornò ad indagare i libri della Sacra Scrittura, riconsiderò gli scritti di San Paolo e Sant’Agostino e pervenne all’assoluta certezza che l’uomo non si salva per i suoi meriti, ma unicamente per i meriti di Gesù Cristo, morto per lui sulla croce, purché creda fermamente nella virtù rigeneratrice del suo sangue umano”.
Quanto alle ricchezze vaticane “è orribile e spaventoso – scrive Lutero in un proprio scritto rivolto “alla nobiltà di nazione tedesca” – vedere che il capo della Cristianità che si proclama vicario di Cristo e successore di San Pietro vive tanto lussuosamente e mondanamente che nessun re o imperatore può pretendere né ottenere l’uguale, e mentre si fa’ chiamare “santissimo” e “spirituale” è più terreno di quel che sia la stessa terra (…). La prelatura di Wurzdung da’ mille fiorini, quella di Bamburgh circa altrettanto, Metz e Triviri anche di più, così si mettono insieme migliaia di fiorini ed anche decine di migliaia, con cui un cardinale può tenere poi a Roma un tenore di vita uguale a quello di un ricco sovrano”.
La rottura avvenne il 31 Ottobre 1517 quando Lutero affisse sulla porta della Cattedrale di Wittemberg le proprie 95 tesi, alcune delle quali contro quelle indulgenze plenarie che erano le ultime arrivate nella prassi religiosa del tempo. Secondo Lutero, non solo le stesse indulgenze non avevano nessun valore in confronto alla giustificazione della fede ma il Papa e la Chiesa non avevano neppure il diritto di concederle, facendo delle stesse un mercimonio.
.A distanza di circa 3 anni, nel 1520, Leone X scomunicò Lutero e le sue tesi. Da parte sua il Monaco tedesco bruciò la comunicazione pontificia relativa alla scomunica e lo scisma avvenne. Difficile poter dire se Martin Lutero, al momento della propria presa di posizione, avesse immaginato le conseguenze religiose ma anche politiche del suo gesto. Fatto sta che la fattura da lui avviata ebbe conseguenze profonde nell’ intero Cristianesimo .
Il ruolo del pensatore tedesco, infatti, assunse “primaria importanza in sede di storia, perché alla sua Riforma religiosa ben presto si intrecciarono elementi sociali e politici che cambiarono volto all’Europa ed è di primaria importanza, naturalmente, per la storia delle religioni e del pensiero teologico. Tuttavia, anche in sede di storia del pensiero filosofico Lutero merita un posto, sia perché diede voce a quella stessa istanza di rinnovamento che i filosofi fecero valere, sia per alcune valenze teoretiche di carattere antropologico intrinseche al suo pensiero religioso, sia per le conseguenze esercitate dal nuovo tipo di religiosità da lui esercitata”. Così scrivono Giovanni Reale e Dario Antiseri “Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi”.
In Inghilterra, la Riforma avvenne ancora più velocemente ed almeno apparentemente priva di quelle valenze ideologiche che furono alla base della presa di posizione di Martin Lutero. Il motivo ufficiale della rottura fra la Chiesa cattolica e la Nazione avvenne allorquando che papa Clemente II si rifiutò di sciogliere il matrimonio del re Enrico VIII a Caterina D’Aragona, Pur essendosi sino ad allora schierato dalla parte del Vaticano contro la Riforma protestante tedesca, arrivando a meritarsi il titolo di “difensor fidei”, Enrico VIII scontento per la risposta del Sommo Pontefice, si rivolse ai Vescovi inglesi che concessero allo stesso Sovrano lo scioglimento del matrimonio.
A Ciò seguì la scomunica pontificia e , nel 1534, la costituzione della Chiesa anglicana di cui lo stesso monarca si definì capo. Vittima illustre della rottura fra il reame inglese ed il Vaticano fu Tommaso Moro, cancelliere del Regno e presidente della Camera dei Lord. Nonostante fosse giunto al culmine di una brillante carriera politica, per rispetto alle proprie convinzioni religiose non volle appoggiare la presa di posizione del Sovrano, preferendo dimettersi dal proprio , prestigioso incarico, venendo accusato di tradimento e condannato a morte nel marzo del 1534.
Alcuni anni prima, nel 1516, lo stesso letterato e giurista inglese aveva pubblicato “Utopia” descrivendo uno Stato ideale situato in un’isola ideale. La stessa opera, nel corso dei secoli successivi, diede inizio ad un genere letterario diffusissimo non solo fra il XVI e XVII secolo, ma fino ai nostri giorni, quello degli utopisti che secondo Luigi Firpo “sono quei lucidi realisti che fanno l’unica cosa che ad essi è data: come naufraghi sulle sponde di remote isole inospitali, gettano ai posteri un messaggio nella bottiglia”.
Quasi profetando il “naufragio” in cui egli stesso si sarebbe imbattuto, nella stessa opera, Tommaso Moro risente evidentemente delle disquisizioni teologiche all’interno del Cristianesimo del tempo e molto probabilmente del pensiero di Erasmo da Rotterdam, cui era legato da un sincero rapporto di amicizia, che alcuni anni prima aveva pubblicato un fortunato libello intitolato “Manuale del soldato cristiano”.
La speranza di salvare almeno la propria anima, in quel turbinio di esperienze ed emozioni che alle volte può essere l’esperienza umana di ogni cristiano, per Moro come per Erasmo da Rotterdam è tutta legata nella certezza fideistica di un Paradiso promesso e garantito ad ogni giusto dalla grazia divina; come spiega in una efficace introduzione ad “Utopia” Mario Trombino secondo cui “il Paradiso è reale con la sua perfezione, così come è reale l’inesattezza del mondo della vita. Che, tuttavia, passa. Il Paradiso non passa, nella sua perfetta eternità. Il suo senso è tangibile per il credente, perché è dato da Dio. Anzi, è Dio stesso. C’è dunque speranza di migliorare il nostro mondo? No, in ultimo l’insensatezza del mondo, cioè il peccato, vince. Smetteremo allora di combattere? Nient’affatto: combattiamo per vincere, ma non ora, non qui. Vinceremo in una realtà diversa, in una vita diversa”.
Descrivendo la propria idea di uno stato il più possibile perfetto, in “Utopia”, Tommaso Moro immagina una società di uguali. La popolazione non è divisa in classi sociali, ma tutti sono obbligati a vivere alternativamente in città e campagna svolgendo alternativamente tutte le professioni. Molta importanza, inoltre, viene data alla vita comunitaria, con i pasti in comune. Fin dalla gioventù, gli abitanti di Utopia vengono abituati ad una spontanea integrazione dei costumi, garanzia della stabilità degli ordinamenti statali. La comunanza dei beni ed il disprezzo delle ricchezze personali sono, negli ordinamenti della stessa società, l’antidoto contro numerosi mali e conflitti sociali.
A distanza di circa un secolo, in un contesto geografico lontanissimo dall’Inghilterra di Enrico VIII, ecco sorgere il sogno di un altro stato utopico, “La Città del Sole” di Tommaso Campanella. Lo scenario in cui s’inserisce la parabola umana di Campanella è, nell’età della Controriforma, quella Calabria che come l’intero Mezzogiorno italiano con la pace di Cateau Campresis del 1599 era passata sotto il dominio spagnolo. Mentre nel Nord Europa i vari Sati rinforzavano la propria autonoma e con gli scritti di Galileo e Cartesio nasceva la filosofia moderna, nel Sud d’Italia il dominio spagnolo rappresenta una vera e propria involuzione non solo per quanto riguarda la gestione della cultura e del dissenso, ma anche dal punto di vista politico ed economico.
Con la finalità di rafforzare gli ideali della Controriforma e del Concilio di Trento nel Vicereame di Spagna, Carlo V si accanì contro le varie eresie del tempo organizzando delle vere e proprie crociate come, nel 1561, quella contro i Valdesi nell’alto Tirreno cosentino. Addirittura, negli stessi anni, con un editto regio furono espulsi dal Regno di Napoli quegli stessi Ebrei che, negli stessi anni, erano accettati nello Stato vaticano e nella Roma papalina. Socialmente, per il sempre crescente potere dei Baroni e la povertà delle masse, aumentano particolarmente in Calabria le rivolte ed il banditismo. Nota quanto emblematica è, in Calabria, la storia di “Re Marcone”, il brigante Marco Berardi che nato da una famiglia benestante divenne il Robin Hood della Calabria.
Incarcerato a Cosenza con l’accusa di appoggiare l’eretica Comunità valdese di San Sisto e datosi alla macchia, lo stesso Berardi riuscì a formare una numerosa banda armata con cui spadroneggiò nell’Altopiano silano sperando di espellere almeno dalla Calabria gli Spagnoli ed i tribunale dell’inquisizione. Il brigantaggio di Marco Berardi, dunque, non aveva motivazioni economiche ma ideologiche e ciò è provato anche dal fatto che, non curante di colpire il potere della propria casta, preferì a mettersi dalla parte dei contadini contro il loro secolare sfruttamento in un particolare momento storico in cui alle prepotenze dei baroni si sommò una crisi economica per la quale il Sud d’Italia da esportatrici di grano, divennero importatrici dello stesso, importante, cereale.
Sognando un utopismo ante litteram similissimo a quello che era stato di Tommaso Moro e di quello teorizzato quasi in contemporanea da Tommaso Campanella, l’auto nominato re Marcone divulgò il proprio programma politico in cui, fra le altre cose, auspicava “ la libertà di tutti di servirsi di quanto Dio spontaneamente elargisce”, teorizzando “la distribuzione dei prodotti secondo i bisogni di ciascuno” e “l’appartenenza dei campi e dei feudi ai contadini, e non ai principi”. Il re Filippo II tentò di strumentalizzarlo nominando Marco Berardi “Re della Sila” con la speranza di ristabilire l’ordine tradizionale, il Berardi si diede nuovamente alla macchia sino al 1563 quando fu catturato nuovamente dall’ Inquisizione che lo carcerò e l’uccise.
In questo scenario s’inserisce la vicenda biografica di uno dei maggiori filosofi calabresi Tommaso Campanella da Stilo che, fin dal proprio ingresso nell’Ordine domenicano di cui professò la regola nel 1583, si fece subito notare non solo per la propria ampia cultura, ma anche per le proprie coraggiose prese di posizione contro la teologia del tempo. Facendo proprio il pensiero di Bernardino Telesio fin dalla morte dello stesso pensatore cosentino avvenuta nel 1588, lo stesso Campanella venne accusato di eresia iniziando il proprio pellegrinaggio fra le maggiori città non solo del Regno partenopeo ma anche dell’Italia centro settentrionale.
Era il 1594 quando fu catturato e sottoposto per la prima volta a quelle torture con cui l’Inquisizione voleva fargli abiurare le proprie idee, il frate domenicano venne inviato a Roma nelle prigioni del’ Sant’Uffizio. Nel 1598 ritorna a Stilo dove iniziò a predicare l’avvento di una rivoluzione che, alla fine del secolo, avrebbe sovvertito ogni regola, animando una congiura anti spagnola che, nel 1599, mise in seria difficoltà l’ordine costituito avvenendo in contemporanea ad uno sbarco di Turchi sulle coste della Calabria meridionale. Seguì una lunga carcerazione nella quale, nel 1602, Tommaso Campanella compose la sua opera più nota: “La Città del Sole”.
“Il fondamento della vita sociale della Città – osserva Adriano Seroni nella propria introduzione ad una ristampa, per la Feltrinelli, della “La Città del Sole” – è la totale comunione dei beni, compreso l’uso delle donne. La vita dei Solari è regolata da ufficiali, uno per ogni virtù: Liberalità, Magnanimità, Castità, Fortezza eccetera, i quali compiono la loro funzione son solo vigilando e regolando, ma soprattutto educando, sì che i reati tipici del nostro mondo non esistono nella Città solare (…). Comuni sono le abitazioni, le mense, i luoghi di ricreazione; comune il vestito che è di color bianco (…). La retta generazione, la salubrità del cibo, l’esercizio fisico rendono trascurabile presso i Solari il numero ed il peso delle malattie, mentre la comunità dei beni, il culto disinteressato delle virtù eliminano quasi del tutto i delitti”.
Se il parallelo con Tommaso Moro in Campanella appare quasi scontato, altrettanto forte è il legame fra lo Stato della “Città del Sole” ed il pensiero di Gioacchino da Fiore, come osserva fra gli altri studiosi Claudio Stroppa. “La Città del Sole – osserva Stroppa in “La Città degli Angeli il sogno utopistico di fra Gioacchino da Fiore” – – non è unicamente un trattato di morale o di metafisica panteistica: Campanella ha tracciato la propria utopia con la convinzione, la speranza di vederla un giorno realizzata. In questa utopia e profezia sono simili Campanella e Gioacchino da Fiore, calabresi e monaci entrambi, svolgono uno stesso ruolo nell’ipotizzare un mondo ed una società diversa. La “Repubblica filosofica” di Campanella doveva costituire il primo fulcro, l’embrione di un mondo nuovo quando sarebbero arrivati i tempi propizi”.
Francesco Rizza
© 2020, Il Calabrone - News Magazine. Tutti i diritti riservati. P.Iva:IT01884870799 | Privacy Policy | Cookie Policy