Viaggio nel “sacro” del Tirreno vibonese: storie di tonni e di tonnare.

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“Chist’è ‘na storia \ D’un pisci spada \ Storia d’amuri… \ Dai e dai lu vitti lu vitti lu vitti \ Pigghia la fiocina accidilu accidilu accidilu ahh… \ Te pigghiaru ‘a la fimminedda drittu drittu ‘ntra lu cori \E chiancìa di duluri ahi ahi ahi ahi ahi ahi ahi \ e la varca la strascinava e lu sangu ni curria \ E lu masculu chiancìa ahi ahi ahi ahi ahi ahi ahi \ E lu masculu parìa ‘mpazzutu \ Mi dicia bedda mia nun chiancìri \  Bedda nun chiancìri Dimmi tia c’haju a fari…?” Canta così la pesca del Pesce Spada uno dei brani più noti di Domenico Modugno.

In Calabria, nel Tirreno vibonese la pesca del tonno è una delle attività tradizionali prevalente con ricadute positive nell’ economia, nella gastronomia, ma anche nell’ antropologia. Archestrato (IV secolo a.C. – 330 a.C. circa), uno dei più noti gastronomi dell’antica Grecia, attestava per i suoi tempi come   “nella grande e sacra Samo vedrai del tonno estremamente grande che chiamiamo orcino, mentre altri lo chiamano ceto; compralo subito e a qualunque prezzo; lo trovi altrettanto buono a Bisanzio, a Caristo e nella famosa isola dei siciliani; i tonni che nutrono Cefalù e la costa di Tindari sono anche tra i migliori, ma se un giorno vai ad Ippona, città dell’illustre Italia, presso i Bruzii, circondati dalle acque, vi troverai i tonni migliori di tutti e dopo questi non c’è più nulla che possa stargli a pari”. 

 Già nel I e II secolo nel Golfo di Sant’Eufemia si praticava la pesca del tonno con particolari imbarcazioni costruite con una forma a loro immagine. Si tratta, come osserva Straface, di un’antica pratica imitativa che ricordava una superstizione basata sull’imitazione della forma della preda. E in quest’epoca mitica pare che la tecnica di pesca del tonno era a inseguimento, praticata fino al XV secolo quando fu sostituita da quella a trappola fissa con la successiva mattanza. Tecnica di pesca, la mattanza, praticata nella costa calabrese e siciliana fino agli anni sessanta per essere sostituita da nuove tecniche. Il periodo dell’anno più propizio per la pesca del tonno è quelo previsto fra maggio e giugno, collegato non solo alle correnti marittime ma, dal punto di vista religioso, anche alla festa liturgica di sant’ Antonio da Padova. 

Nel Tirreno calabrese, non solo per una vicinanza geografica o per aver attraversato lo stretto di Messina sul proprio mantello, un altro protettore dei pescatori è san Francesco da Paola che, il 27 marzo 1943 Pio XII dichiarò “Patrono della Gente di Mare”. “Ci è ben noto – scriveva Pio XII –  con che viva fede le associazioni preposte alla cura della gente di mare, le società di navigazione con tutti i marittimi italiani, abbiano insistentemente chiesto che ci degnassimo proclamare San Francesco di Paola loro celeste Patrono presso Dio. Egli è sempre stato venerato con profonda devozione dai marittimi italiani, essendo la stessa vita del Taumaturgo piena di prodigi compiuti sul mare e spesso in favore dei naviganti, i quali, invocandolo nei loro pericoli, hanno sperimentato la valida protezione dello stesso Santo”. D’ altro canto l’Ordine dei Minimi fu da sempre legatissimo ai perscatori anche per il quarto voto della loro rigida Regola, quello della “Quaresima Perpetua” per la quale la loro dieta è essenzialmente basata sul pescato.                                                                         

Importantissime dal punto di vista storico le tonnare di Pizzo e di Bivona. Storicamente, le tonnare furono organizzate come delle vere e proprie industrie a partire dal XVI secolo “nel periodo in cui – scrive l’ antropologo Sergio Straface –  una classe nobiliare decide di diversificare la fonte dei propri guadagni. Fonte di guadagni naturalmente legata essenzialmente alla produzione agricola. Modello, e organizzazione, che nella sua dimensione tradizionale rimase invariato fino alla seconda metà del 1900. Quando s’impose il processo di conversione di attività artigianali in industrie di trasformazione del pescato. E’ il momento della riorganizzazione del sistema di conservazione del tonno con l’olio, la pastorizzazione e l’inscatolamento in recipienti di latta”.

Da parte sua, Raffaele Lombardi Satriani sostiene che i saperi e le pratiche ergologiche sono inscindibili dai miti, dalle credenze e dai riti. E questo non è vero, è verissimo, verità che vale anche per le comunità marinare. La vita dei pescatori, così come le vicende legate alla storia e alle tradizioni  di queste comunità, è permeata da una profonda religiosità.  Sulla pesca e particolarmente su quella del tonno, infatti,  esiste  un insieme di prescrizioni, di regole e di comportamenti che, “trova ragione nella sfera del sacro” non fosse altro che per i rischi dello “andar per mare”. 

Francesco Rizza

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