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Il massiccio del Reventino è posto nella parte più stretta della penisola italiana, l’istmo di Marcellinara, largo circa 30 km tra i mari Ionio e Tirreno. Il complesso è delimitato a nord dalla valle del Savuto, a sud dalla piana di Sant’Eufemia, a ovest dal mar Tirreno, mentre a est il confine virtuale con la Sila Piccola può essere identificato nel corso del Corace.
Lo stesso monte fa parte di una catena montuosa che custodisce l’unicità della sua ʻPietra Verdeʼ, una forma minerale non presente nelle altre Alpi calabresi, e il mistero della ʻPietra di Fotaʼ, una roccia nascosta nel bosco, che in italiano si traduce in ʻPietra delle Fateʼ. Il massiccio montuoso si inscrive in una dimensione geografica e storica di risuonante antichità. I primi insediamenti nell’area del Reventino risalgono all’epoca preistorica, e le leggende sulle fate, ʻche hanno sempre abitato quei luoghiʼ, sono legate alle divinità greche delle ninfe. Ai giorni nostri è possibile visitarvi un affascinante “Parco Avventura”.
A cavallo fra Otto e Novecento, vissero nei borghi sulle pendici del Reventino, due dei maggiori poeti calabresi: Vittorio Bufera e Miche Pane. Il primo dei due è nato a Conflenti un borgo che dai 350 metri sul livello del mare dove è situata la frazione di Muraglie sale sino alle cime del monte Revenino ad una quota di 1410 metri sul livello del mare. atiz”Il punto di partenza per il vero Butera – osserva il noto storico della letteratura italiana Umberto Bosco che ne recensì alcune pubblicazioni – è un altro poeta, Trilussa. Ma il poeta romanesco è per Butera solo uno che gli addita la via; poi Butera la percorre con mezzi suoi, e giunge a risultati sui propri”.
Mentre il fine primario della poesia trilusaiana è quello di prendere in giro la società del suo tempo con i suoi versi, come osserva Umberto Bosco, Vittorio Butera “prende energicamente sul serio la sua materia, difende i valori in cui crede, di fermezza, di fedeltà, di disinteresse; non fa politica, nel senso spicciolo della parola, perché in lui la politica si converte in morale. Significativo, anche dell’uomo, è il fatto che egli non volle, nel 1949 includere nel libro nessuna delle molte poesie antifasciste scritte durante il ventennio: non volle, dice la moglie, fare il maramaldo. Appaiono nel libro solo quelle che trascendono il momento, difendono posizioni che debbono essere tenute sotto ogni regime”.
Quella del dialetto, per lo stesso Bufera fu una vera e propria scelta di campo, conservandone inalterata la freschezza e la ricchezza nonostante sia vissuto per lunghi periodi della sua vita in città e in ambienti parimenti borghesi. Ciò probabilmente perché, a detta di Bosco “la lingua letteraria nazionale, a lui come a tutti i non toscani, avrebbe offerto strumenti inadeguati al suo gusto dell’osservazione minuta e affettuosa. Spesso il vocabolo preciso contiene in se stesso l’immagine visiva”.
Altri studiosi di Butera hanno fatto osservare come “I’Esopo del Reventino”, così lo definirono in molti per le favole in versi comoosti per descrivere e dissacrare la realtà con un precisione fotografica, ha scelto per le sue sillogi titoli quasi fissi, emblematizzati nel ricorso di ccanto e ccuntu: cantare e raccontare; vale a dire esprimersi e comunicare, dire di sé quasi per sentirsi vivere, ma dire anche per gli altri. Anche per questo, il suo lirismo non concede molto al sentimentalismo, preferendo affidarsi alla forza del racconto, dell’espressione tenuta su registri stilistici e tematici sempre controllati, quasi isolandosi, per precise scelte, nel contesto della più consueta pratica della dialettalità poetica calabrese, e aspirante a forme di classicità che, per altri versi, riconducono alla spiritualità tipica della regione..
Nel borgo di Adami, frazione di Decollatura nacque invece nel marzo Michele Pane. La sua famiglia era stata alquanto agiata ma le sue ricchezze diminuirono molto a causa dei moti risorgimentali del 1848 cui sia il padre che lo zio paterno Francesco Saverio presero parte, affiancando il generale Francesco Stocco.
Dopo un’esperienza precedente al servizio militare, Michele Pane si trasferisce definitivamente in America nel 1902 e, pur vivendo fra ristrettezze economiche, ottenne vari riconoscimenti. Nel 1905, per esempio, fu nominato socio Onorario della “Accademia Cosentina” e nel 1921 fondò a ricordo dello zio filosofo il “Circolo Calabrese Francesco Fiorentino”. Ai giorni nostri gli è dedicato a Decollatura un parco letterario.
Per Matteo Scalise quella di Pane “è una poesia popolare, espressa nel linguaggio popolare per eccellenza, il vernacolo, in cui protagonisti sono la gente umile, i loro ambienti di vita, di lavoro e il loro erotismo schietto e quasi primitivo, sopratutto quello delle molte donne con cui Pane ebbe fugaci relazioni amorose”, Il suo stile lo avvicina molto a Giosué Carduccci alla poesia sociale di Victor Hugò e dei poeti calabresi Donnu Pantu, Conia, Ammirà, Bufera. Due approfondimenti sugli stessi Poeti saranno ospitati nel prossimo numero de “Il CalabrOne”.
Francesco Rizza
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