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E’ arrivato dicembre, l’ultimo mese dell’ anno, che liturgicamente culminerà nelle festività natalizie. Anche la seconda decade del dodicesimo mese è caratterizzato da un’importante momento liturgico: la festa di santa Lucia che, dalla Sicilia al Settentrione italiano, è una Santa molto venerata e che in alcune Regioni italiane seconda la tradizione sostituisce Babbo Natale nella distribuzione dei doni. Unitamente alla festa di San Giuseppe, nel mese di marzo, proprio nelle tradizioni italiane ed anche calabresi è possibile osservare alcuni riti pagani che, ne corso dei millenni, si sono trasformate prendendo connotazioni “altre” rispetto alle originali.
Il proverbio “Santa Lucia il giorno più corto che ci sia” ci ricorda che la festa della Martire siracusana avviene a qualche giorno dal solstizio di inverno del 21 dicembre. In questo particolare periodo dell’anno nell’antichità pagana si era soliti accendere dei fuochi per purificare le terre. A ben vedere, come dicevamo, non è una tradizione tipica del Meridione italiano, come ricorda per le Langhe piemontesi Cesare Pavese col romanzo “La Luna e il Falò”. Ai giorni nostri, particolarmente sulla Costa ma anche nell’Entroterra, sono numerosi i centri del Crotonese dove la vigilia di Santa Lucia vengono accesi e benedetti dei falò, chiamati in dialetto “a Lumera ‘e Santa Lucia”
Soffermandoci alla provincia di Crotone, se sulla Costa i “fuochi di Santa Lucia” vengono accesi in quasi tutte le cittadine, nell’Entroterra a Petilia Policastro è l’Associazione “Nel Cuore Solo Petilia”che sta tentando di recuperarla nella frazione montana di Pagliarelle dove, intorno al fuoco principale di via regina Elena, altri fuochi vengono accesi nella zona ormai quasi disabitata “L’Aria”. Fu proprio in queste stradelle, in cui le casette in pietra sono state costruite una attaccate all’ altra, che si stanziarono i primi profughi di Patenti, borgo della Sila cosentina, quando le truppe napoleoniche incendiarono e rasero quasi totalmente la loro cittadina per vendicarsi di una rivolta. Collegato all’ambiente agro pastorale, il dolce tipico della festa di Santa Lucia è la “Cuccia”che ha fra i propri ingredienti principali il frumento e la ricotta.
La festa di San Giuseppe, il 19 marzo, è collegata ad riti pagani di primavera e anche questi di purificazione agraria. In questi giorni dell’ equinozio di primavera, prima del Cristianesimo, si svolgevano i baccanali, i riti dionisiaci volti alla propiziazione della fertilità e i riti propiziatori di purificazione agraria che si svolgevano il 17 marzo, quando la popolazione festeggiava la fine dell’inverno. Su queste celebrazioni che erano prettamente propiziatorie per gli agricoltori pagani, dal quindicesimo secolo in poi, s’ innestò la celebrazione cristiana di San Giuseppe, padre di Gesù, e più volte in fuga, perseguitato e respinto, come raccontano i “Vangeli Apogrifi” cui si collega la sua protezione degli artigiani e dei poveri. Da Cirò Marina a Cotronei, da Torretta di Crucoli a Petilia Policastro, “u Mmitu” o “Cummitu” di San Giuseppe si svolge un po’ ovunque.
Il piatto tipico e tradizionale della festa è la “Pasta con i Ceci”accompagnata da “u vusceddratu” di pane di grano duro accompagnato da un buon bicchiere di vino. A Santa Severina, in occasione della festa di Santa Lucia, intorno alla prima decade di dicembre oltre ai “Fuochi Santi” viene organizzato dalla Pro Loco “Siberene”, dal Comune, dalla Cooperativa “Aristippo”e dalla Parrocchia di Santa Maria Maggiore un mercato artigianale che nell’affascinante Piazza “Campo”fra la Cattedrale ed il Castello vede sommarsi numerose bancarelle artigianali e visitatori. Tornando all’ antico rito de “U Mitu” era tradizione delle famiglie che stavano economicamente un po’ meglio delle altre invitare a pranzo, per la festa di San Giuseppe, delle persone povere. Se venivano invitate più persone si faceva attenzione che fra di esse ci fossero un Giuseppe, una Maria ed un Salvatore in ossequio alla Sacra Famiglia. Con l’evolversi del tempo anche la tradizione de “u Mmitu” si è andata a trasformare. Le famiglie non organizzano più il pranzo di San Giuseppe nelle proprie case, ma unendosi fra di loro nell’organizzazione di “Tavolate di quartiere” in cui alla “Pasta con i Ceci” che le massaie iniziano a preparare di buon mattino non è più l’unica pietanza a venire distribuita dopo essere benedetta dai sacerdoti.
Francesco Rizza
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