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La fregola della secessione, almeno quella economica, torna in voga. Infettando anche Amministrazioni comunali di centro sinistra che, ideologicamente, ne dovrebbero essere esenti; ma si sa’: quando si ha a che fare col portafoglio, certe regole ideali diventano di secondaria importanza. Fra le tematiche accantonate con il lockdown ritorna attuale in questi giorni quella “Autonomia differenziata” che da tempo è già al centro del dibattito. A spingere sull’accelleratore Regioni storicamente di centro sinistra come l’Emilia Romagna e quelle di centro destra a trazione leghista come Lombardia e Veneto. Agli osservatori meno distratti appare, ormai chiara l’esistenza di un accordo sotto banco fra la sinistra emiliana con le punte di Milano e Bergamo e la gestione leghista di Lombardia e Veneto, a cui presto si aggiungeranno le altre regioni del Nord.
Il tema di fondo riguarda l’esigenza e la volontà da parte delle regioni ricche di tenersi il loro surplus fiscale. Come fossero degli Stati autonomi vogliono utilizzare le risorse che producono, in maniera da poter consentire ai propri concittadini degli standard di welfare, che lo Stato non potrebbe consentire se dovesse trovare le risorse per tutti. Perché non dare servizi sempre più completi in quelle Regioni che hanno un surplus fiscale maggiore delle altre? Questa la domanda superficialmente giusta, che affiora con una frequenza sempre maggiore.
Dopo anni di propaganda leghista su un Sud sprecone e parassita che aspira ad un reddito senza lavoro, ritornare indietro ai concetti di solidarietà e di diritti di cittadinanza uguali per tutti non ë complicato ma impossibile, una delle possibili risposte al quesito da parte del ministro
Francesco Boccia potrebbe essere quello di ripescare il vecchio progetto dell’autonomia differenziata. Con l’impegno, ci si augura, di renderlo il più equo possibile, nonostante quella pressione di più forze politiche, Pd compreso, per la quale ogni Regione avrebbe il diritto di tenersi ciò che, anche economicamente, produce. Sarebbe proprio questa la cosiddetta “secessione dei ricchi”. Ciò nonostante che l’esperienza del Covid, per il resto non ancora finita, ci abbia dimostrato negli scorsi mesi quanto sia necessaria in sanità una linea unica di gestione.
La paura di alcuni osservatori come Pietro Massimo Bussetta è che il Governo voglia portare la proposta di un disegno di legge in programmazione blindata con il voto di fiducia, senza consentire molte correzioni in Parlamento col rischio che alcune Regioni abbiano la possibilità di avere i marciapiedi in marmo ed altre non abbiano proprio i marciapiedi. “Noi possiamo – scrive Bussetta |sulle colonne de “Il Quotidiano Del Sud” – continuare ad utilizzare il Sud come area per le produzioni inquinanti, non valorizzare la piattaforma logistica del Mediterraneo, non investendo adeguatamente nelle infrastrutture ferroviarie di alta capacità e velocità, magari privilegiando in tal modo Genova o Trieste , ma prevalentemente Rotterdam ed Aversa. Possiamo diventare terzi o quarti per presenze turistiche, superate da Spagna e Francia, pur avendo Pompei ed Ercolano, due vulcani attivi, Stromboli ed Etna, i parchi archeologici più belli del Mediterraneo come Paestum, Selinunte ed Agrigento, i bronzi di Riace in una città sporchissima”.
“Possiamo fare tutto questo – aggiunge – ma dobbiamo pure sapere che il problema non sarà di Reggio Calabria o Agrigento, ma che quello che perde in presenze turistiche il Mezzogiorno lo perde il Paese, che presto sarà costretto a intervenire con il numero chiuso a Venezia e Firenze. Mentre le realtà bulimiche del lodigiano, del bresciano o del bergamasco soffriranno sempre di più per un inquinamento dovuto ad una concentrazione di manifatturiero che alla popolazione potrà portare poco”. All’Italia dei mille campanili continua a convenire di rimanere unita e se qualcuno dovrebbe essere stanco dell’Unità nazionale dovrebbe essere il Mezzogiorno. Questo avrebbe dovuto insegnarci la storia, ma quando si ha a che fare con una politica che preferisce pensare con la pancia più che col cervello non è facile pretendere certe “raffinatezze”.
Francesco Rizza
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