
Ultime notizie
Quella della ceramica calabrese è una tradizione molto antica che, nella nostra Regione, ha origini antichissime. Tracce archeologiche e attestazioni documentarie, infatti, attestano la lavorazione della ceramica calabrese ai tempi della Magna Grecia a quando risalgono numerosi tesori ritrovati anche nella vicina Sicilia oltre che in numerosi territori calabresi.
Le due Regioni dell’ Italia meridionale sono legate, proprio relativamente al mestiere dei vasai, con la figura del re Agatocle, figlio di Carcino ed esule di Reggio Calabria per motivazioni politiche vi portò l’arte della lavorazione della ceramica, che aveva appreso dal padre Terme Selinunte. Fedele all’amore che il padre gli ha tramandato per questo genere di lavorazione, divenuto re fa imbandire le sue tavole solo con vasellame in ceramica, dichiarando a chi gliene chiede il motivo che è “figlio di padre vasaio”.
Ai giorni nostri, se la produzione di ceramica è attestata in vari borghi calabresi, la lavorazione della ceramica è nota in Calabria particolarmente nelle cittadine di Squillace nell’omonimo Golfo sullo Jonio calabrese ed a Gerocarne, cittadina dell’ Entroterra vibonese.
Per quanto riguarda Squillace, gli antichi forni del centro ricordano la tradizione dell’arte figulina e gli oggetti in ceramica ingobbiata e graffita di cultura bizantina. “La tecnica dell’ingobbio consisteva nel rivestire di un velo di creta bianca il manufatto – attesta Guido Donatone, in uno studio per ISVEIMER sulla ceramica di Squillace del 1985, pietra miliare nelle ricerche e scoperte sull’argomento – decorato a sgraffio con una punta acuminata o una stecca, che mettevano a nudo l’argilla; questa, in cottura, assumeva un tono caldo rosso-scuro in contrasto con l’ornato ingobbiato biancastro, che restava ‘risparmiato’ e dipinto con ossidi per lo più in giallo- ferraccia e verde-ramina… Tale peculiarità tecnologica della ceramica squillacese e la sua persistenza per secoli è una precisa referenza dell’origine bizantina”.
“L’arte dei vasai – aggiunge Giuseppe Mercurio “Il CalabrOne – speciale Il Golfo di Squillace” (luglio 2017) – più noti come “pignatari” è vecchia a Squillace quanto la storia della stessa città. Gli Squillacesi cominciarono a modellare la creta sicuramente prima della civilizzazione ellenica, come testimoniano i ritrovamenti di vasellame dell’età del bronzo nella valle tra Girifalco e Squillace: è perciò opinabile che già gli indigeni lavorassero l’argilla e che, molto verosimilmente, abbiano successivamente perfezionato le tecniche di lavorazione, cottura e decorazione al contatto con le maestranze d’oltremare. Dalla cava argillosa si preleva con vanga e zappa la materia argillosa, allo stati quasi secco, scavando nella cava ed effettuando una prima pulitura da foglie e pietruzze o da erbacce, quelle che solitamente vegetano nelle zone argillose ed umide. Viene poi depositata temporaneamente in una rudimentale vasca che si trova sul posto di scavo, dove viene la prima bagnatura affinché si ammorbidisca e formarla in blocchetti sferici di 8, 10 chilogrammi circa”.
A questo punto la materia è a disposizione dei “Pignatari” le cui botteghe artigianali ornano il centro storico di Squillace con i propri prodotti molto gustati dai turisti che anche appositamente arrivano nella ridente cittadina del medio Jonio calabrese.
Quasi simile la lavorazione della ceramica a Gerocarne che, nelle Serre vibonesi è un borgo di poche centinaia di anime. La cittadina origini remote ed il suo nome significa, secondo alcuni, “carne sacra”. Qualche storico, invece, pensa si possa associare al cognome greco “Jerocaris” e altri studiosi al fatto che qui vi fossero degli allevamenti o degli alberi selvatici.
Relativamente alla lavorazione dei vasai, già nel 1880, Francios Lenormat, archeologo francese e viaggiatore in Calabria, nei propri diari osservava come a Gerocarne “si fabbricano dei vasi usuali in maiolica, rivestita di una patina stagnifica bianca, sulla quale si disegnano degli ornamenti a fuoco di diversi colori: rosso, turchino, verde e giallo”.
Un tempo era lo stesso colore a classificare i vasi gerocarnesi in due categorie: i vari “janchi” (bianchi) e quelli “russi” (rossi) differenti per l’argilla utilizzata che, dopo la cottura che dura circa 48, assume una particolare coloritura. I vasai “janchi” estraevano argilla calcarea, giallastra, duttile e setosa poco distante da Gerocarne producendo le “Cucume” che sono vasi da dispensa abbelliti da decorazioni in verde ramato e giallo ferraccio. I vasai “russi”, invece, producevano “Pignate” e tegami di varie misure utilizzate per cucinare. La loro argilla non era calcarea ma grassa ed estratta da un’altra cava ancora esistente nei pressi del centro abitato.
Francesco Rizza
© 2020, Il Calabrone - News Magazine. Tutti i diritti riservati. P.Iva:IT01884870799 | Privacy Policy | Cookie Policy