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Era il novembre 1095 quando, nel concilio di Clermont Ferrand, papa Urbano II esortava i partecipanti a partire verso la Terra Santa per offrire aiuto ai cristiani residenti in quelle terre contro i turchi, e per purificarsi dai propri peccati. Al grido di “Dio lo vuole” furono numerosi i prelati, i religiosi e i laici che per la terra che aveva visto nascere Cristo.
Fra i tanti che partirono, fra l’XI e il XIII secolo, furono tanti anche i poeti, che nei propri scritti ci lasciarono il proprio punto di vista su quegli avvenimenti. E per tentare di capire il pensiero di quei tempi, per alcuni aspetti inconcepibile ai cristiani di oggi, ci affidiamo proprio ai loro scritti. “Le brevi ma spontanee canzoni di crociata partorite e circolanti fra la gens Francorum a Deo electa e dilecta – scrive il medievalista Saverio Guida nella propria raccolta di “Canti di Crociata” – consentono di cogliere ciò che si agitava nell’anima collettiva dell’Occidente del basso medioevo e quanto l’idea del viaggio al di là del mare abbia influenzato le attitudini, i comportamenti, gli umori degli strati più ampi della popolazione dell’epoca.
Dai versi di questi canti, la partenza per le Crociate era una sorte di viaggio penitenziale, in cui ci si incamminava non per bramosia di potere, ma per portare pace in quella Gerusalemme che per Renaut de Beauvais “piange e si duole \ per il soccorso, che troppo tarda. In quella terra ove il Salvatore venne al mondo \ si trova il tempio nel quale egli fu maltrattato \ e la croce sulla quale fu martoriato \ e il sepolcro dal quale resuscitò \ Là sarà concessa la giusta ricompensa \ a quelli che l’avranno meritata”.
Nella mentalità medievale, infatti, non esisteva molta differenza fra la Gerusalemme celeste e quella terrena e in quest’ottica il viaggio verso la Terra Santa era una specie di sublimazione spirituale verso il “verum regnum”. Una conferma di ciò deriva dai versi di Pons de Capduelh (1160-1220 circa) che in un suo canto si augurava che “nessun barone si vanti più d’essere prode \ se ora non si reca in soccorso della croce e del sepolcro \ senza rinunziare a comodo equipaggiamento \ non possiamo ottenere onore e gioia \ in paradiso”.
Ad influenzare lo spirito delle Crociate il calabrese Gioacchino da Fiore a lungo confessore della Corte sveva, con i propri computi trinitari era arrivato a ritenere che tale fine del mondo sarebbe dovuta arrivare nel 1260. Secondo alcuni studiosi, lo stesso Gioacchino da Fiore apparteneva all’ Ordine di Sion ed avrebbe progettato la basilica di San Marco a Venezia ispirandosi al tempio di Salomone a Gerusalemme. Nella stessa Venezia esiste ancora oggi una chiesa dedicata a ‘San Fantin e Calabrese” e la leggenda di Lancillotto ed il santo Graal sarebbe ispirato al “Vangelo Eterno” gioachimita.
Secondo una tradizione Riccardo Cuor di Leone, durante il viaggio per la Palestina, nella primavera del 1191, Riccardo sostò a Messina, per risolvere una controversia sorta con Tancredi di Lecce, reggente del Regno di Sicilia e Giovanna vedova del precedente re siciliano Guglielmo II. Proprio in questo viaggio, il Condottiero inglese volle incontrare Gioacchino da Fiore, che in quel periodo viveva in un eremo in Sicilia ed era già famoso per le profezie millenaristiche, e chiedergli l’esito della Crociata.
Ancora ai nostri giorni, la Calabria conserva numerose tracce dei Templari come a Rocca Niceforo in diocesi di Mileto nella Abbazia di Santa Maria di Monsalvato. Il nome della detta Abbazia sarebbe collegato a “Montsegur” rifugio degli ultimi Catari, ma anche il “Munsalvasche” del Peovenzalbdi Wolfram Con Eschenbach. Secondo alcuni documenti la stessa Abbazia era stata fondata da quel Niceforo che ha vinto i Saraceni di Calabria ed era anch’ esso un Templare. A Stilo l’attuale monastero ortodosso si San Giovanni Theresti era precedentemente appartenuta ai Templari “Gerosolimitani”. Nel castello di Roseto Capo Spulico è visibile nel portale in pietra il simbolo della rosa citata di Robert Fludd come uno dei “nove soli collegi al mondo” in cui i Rosacroce risiedevano e dove Federico II, di ritorno dalla Palestina, custodì la Sacra Sindone.
Francesco Rizza
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