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58 anni di emigrazione in Francia, è nato a “u vagliu da Ciciarina” nel 1936 ed ha un amore appassionato per Petilia Policastro: sono questi gli elementi biografici, secondo me essenziali, di Pierre Carvelli. Era il settembre 2015 quando, superate le naturali resistenze di chi in Francia aveva sette figli (la moglie era morta da poco tempo) Pierre ha preso una delle sue decisioni più importanti: ha riempito le valige ed è ritornato nella cittadina dell’alto Marchesato crotonese. Un’altra sua storica data, secondo noi, è stata quelle delle Regionali del gennaio 2020 quando, riottenuta la cittadinanza onoraria, ad oltre 80 anni di età Pierre ha votato per la prima volta in Italia. Ed il primo appuntamento con l’italica scheda elettorale, nonostante il disincanto generale verso la politica, è stato una periscopica somma di emozioni: “Finalmente, mi sento Italiano a tutti gli effetti!”.
Quello che di Pierre colpisce di più è la sua memoria, lucidissima, che gli consente di conservare tutta una serie di volti, aneddoti e situazioni della Petilia della sua giovinezza. Buona parte dei suoi ricordi sono stati raccolti, oltre che sul suo profilo di Facebook, in alcune pubblicazioni e, per l’interesse anche antropologico che conservano, ho deciso di regalarne qualcuno ai nostri lettori. Collegate all’atavica mancanza di viabilità, in “Racconti e Poesie” antologia di memorie che Pierre ha pubblicato nel 2017, ecco il racconto dedicato ad una “autostrada petilina. “Tra tutte le vie asino mulattiere che partivano da Petilia verso l’esterno – ricorda Pierre Carvelli – voglio descrivervi quella che dal Castello andava verso molte campagne petiline. L’ultimo locale sulla destra era una forgia, quella dei fratelli Pietro e Cesare Lepera bravi artigiani, fra le opere dei quali figura anche l’inferriata intorno al monumento da un nostro benefattore: il cavaliere Luigi Giordano”.
“Scendendo – aggiunge – c’era il famoso olmo sotto il quale in una gabbia fu esposta la testa recisa del famoso brigante “Panegrano”. A sinistra il torrente “Lochiciaddu” che prenndeva l’acqua del fiume Soleo, dopo aver fatto funzionare una centralina elettrica e una fabbrica tessile e servito anche da lava biancheria a 50% della popolazione petilina, finiva la sua corsa sfrenata nel fiume Cropa un po’ più su del ponte di Gallina. Dopo il pontino, sempre sulla sinistra, c’era il famoso “maiapopoli” dove i nostri maialini venivano ingrassati con mangime casereccio per poi finire sulle nostre tavole in salcicce, soppressate, eccetera, per il piacere del nostro palato”.
Già in queste prime battute una prima istanaea sulla Petilia a cavallo delle due guerre mondiali e la sua vivacità economica cui segue la descrivione di due attività prevalenti nella Cittadina presilana presilana: l’agricoltura e la pastorizia. “Dopo il ponte tante direzioni, San Demetrio, Cugnu Casteddruzzu, Lattaleona, Zumpu. L’estate spesso si esisteva al passaggio delle greggi che andavano in trasumanza e a un viavai di uomini e donne che andavano a lavorare nelle campagne, sia di loro propietà sia dei ricchi proprietari, che con i loro muli salivano nei casali di San Demetrio, dove le generose vigne producevano dell’ottimo vino. In autunno spesso si vedevano molte donne che trasportavano nei grandi cesti, le sporte, dell’uva, fichi, o altra frutta, l’inverno erano le olive che seguivano lo stesso percorso”.
S’intitola “L’alba degli anni ’20” un intenso racconto della “rivolta delle Frascare” uno dei fatti di cronaca petilina che ebbe un eco certamente regionale svolgendosi in quella che sarebbe diventata la Città del Coraggio Femminile. Non era facile la vita petilina nel 1917 quando era in corso la prima guerra mondiale e, come in ogni tempo – alla salute del “si stava meglio quando si stava peggio” – come sempre “a ra casa senza pane c’è nu trigulu abbattutu, la mugliera è na puttana u maritu è nu curnutu” spiega fotograficamente un motto cittadino. “Frascare – spiega Pierre – erano le portatrici di fascine per scalidare il forno, ce ne sono tante in questo paesello soprattutto agricolo. Si lamentavno spesso che guadagnavano quasi nulla. Fra queste eroine c’erano Teresa da Picuna, sua figlia e anche sua cugina parenti della nostra simpatica Domenica Milea”. Questo il prologo del racconto.
“tutti i giorni è lo stesso lait motiv. Salvatore – fornaio e nonno di Pierre che continua il suo racconto – non può andare avanti così, non ci arriviamo col nostro lavoro a sfamare le nostre famiglie, cosa dobbiamo fare? Lui stesso, sposato e con due figlie Giovanna e Franceschina (mia madre) non ce la fa neppure lui. Troppo fiero per chiedere aiuto ai suoi genitori, ha sposato una figlia i poveri e venne quasi escluso dalla famiglia molto agiata”.
Salvatore, racconta Pierre, “all’ennesima lagnanza decise di riunire la sua trouppe e propone di mandare a trovare il Commissario. Il Commissario rifiutò di riceverlo, di ascoltarlo, ma lui entrò lo stesso e chiese che facesse qualcosa per la povera gente. Il capo paese rispose che se erano nati poveri non era colpa sua” (…). Fu così che le donne petiline decisero di incendiare il municipio allora allocato nel palazzo di Santa Caterina. “L’indomani – continua il racconto – le frascare e i loro mariti fecero quello che il nonno aveva raccomandato. A due amici chiese di tagliare i fili del telefono per impedire che il Commissario telefonasse ai Carabinieri della città vicine, ma non sapendo distinguere i fili di telefono e fili elettrici tagliarono questi provocarono un glack out elettrico nel paese. Fu un fiasco completo, del Municipio si bruciò quasi tutto, le rivouzionarie furono incarcerate a Catanzaro”.
Francesco Rizza
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