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Come in ogni angolo della Calabria, intensa anche la religiosità delle Serre Calabresi che ci facciamo descrivere da uno dei suoi maggiori conoscitori, l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani. “La protezione da parte della divinità – osserva – spesso mediata attraverso l’intercessione dei Santi protettori, viene rinnovata attraverso le feste che annualmente si pongono come occasione per una ricapitolazione ed essenzializzazione dello spazio della comunità sulla quale viene distesa una rete simbolica di protezione. Ogni Paese, infatti, preferibilmente d’estate, si organizza intorno alla festa, insieme a manifestazioni religiose e laiche, della Madonna, venerata con diverse denominazioni o dei diversi Santi protettori che assicurano, ognuno al Paese che li ha prescelti e che ama affermare nella propria leggenda di fondazione di essere stato prescelto dalla divinità. Emblematizzato in questa prospettiva – aggiunge Lombardi Satriani – il lungo itinerario professionale che il simulacro della Madonna o del Santo percorre perché lo spazio del Paese sia ancora una volta sacralizzato e riceva ancora una volta una specifica protezione dalla divinità”.
Intenso dal punto di vista spirituale, anche nel Vibonese, è il periodo pasquale. D’altronde anche Cristo, come Proserspina dea tutelare, come abbiamo visto, del Vibonese nella paganità prima di risorgere fu seppellito per tre giorni e questa commistinone fra paganità e cristianità ha ancora oggi un sapore intenso che ancora oggi si puàò cogliere. Con l’inizio della Quaresima, il Mercoledì delle Ceneri, come nel resto della Calabria, anche nel Vibonese iniziava a preparare in una scodellina semi di lenticchie, ceci e chicchi di grano che, coperti da cotone o sabbia e bagnati, per tutta la durata della Quaresima venivano fatti germogliare in stanze buie. Germogliando al buio i semi assumevano un tipico colore giallastro. Queste composizioni, conosciuti come “Seminati” nella giornata del Giovedì Santo venivano poi portate nelle diverse chiese per adobbare l’altare della Reposizione, chiamato in dialetto “Seporcru”.
Il Sabato precedente la quinta domenica di Quaresima in vari centri della provincia c’e’ ancora l’usanza della “Velatio” per la quale nelle chiese le statue dei Santi ed ogni altra raffigurazione sacra viene ricoperta con enormi drappi viola; questo per sottolineare che l’attenzione di ogni fedele deve essere rivolta esclusivamente al Cristo alla sua Passione, Morte e Risurrezione, ma anche per ricordare l’assenza di Proserspina agli occhi della madre e del mondo.
Nella Settimana Santa, fede pietà et radizioni popolari si intrecciano per dare vita a particolari e suggestivi riti tramandati da padre in figlio. Con la commemorazione dell’Ingresso di Gesù a Gerusalemme si aprono i riti e le tradizioni Pasquali. In ogni Centro, piccolo o grande che sia, con varie processioni si ricorda l’ingresso del Cristo nella città Santa. In questa giornata in tantissimi paesi del vibonese, come a Briatico, in serata viene rappresentata la Passione di Cristo.
Già nella mattinata del Giovedì Santo, ogni comunità è intenta ad allestire in chiesa l’altare della Reposizione che subito dopo la solenne celebrazione accoglierà l’ Eucarestia. Subito dopo la messa del Giovedì in molte chiese viene distribuito il pane benedetto in ricordo della Santa Cena e inizia l’adorazione pressò l’altare della Reposizione. L’adorazione si protrae fino al pomeriggio del Venerdì Santo. Durante tutta la notte di Giovedì Santo, soprattutto nei grandi centri, molte chiese rimangono aperte e durante tutta la notte i fedeli visitano ”i Sapurca”.
-Nel pomeriggio del Venerdì Santo, in molti centri vibonesi si snodano meste processioni con le statue del Cristo Morto e della Vergine Addolorata. In alcune zone del vibonese vi è l’usanza della cosiddetta “Chiamata da Madonna”. Dopo le funzioni il sacerdote dall’altare “chiama” la Madonna a venire a prendere fra le braccia il Cristo Morto. Dal fondo della chiesa i fedeli a spalla portano la statua della Madonna Addolorata (in alcuni paesi correndo) fino all’altare dove il sacerdote depone fra le braccia della statua, Il Cristo morto. Anticamente questo rito veniva accompagnato da lamenti e pianti da parte delle donne, le quali, cantando canzoni sulla Passione di Gesù, si percuotevano sul petto. Nella serata del Venerdì Santo in quasi tutti i paesi si snodano meste processioni con il Cristo Morto. Tra le più solenni quelle di Pizzo e di Tropea e la particolare processione della “Desolata” a Vibo Valentia. Il Sabato Santo è il giorno del silenzio; giornata in cui ogni fedele è invitato a sostare davanti al sepolcro del Signore in attesa della sua Resurrezione. Fino a qualche anno fa in molti paesi si svolgevano processioni con simulacri e altre tradizioni.
Un tempo, a Carìa di Drapia, nella mattinata del Sabato Santo si svolgeva una suggestiva processione con il Cristo Morto e la Vergine Addolorata fino al Calvario attorno alle otto del mattino. Anticamente la stessa processione avveniva prima del sorgere del sole. Adesso, la stessa processione si svolge la sera del Venerdì Santo. Suggestivo ovunque il momento della Risurrezione del Signore durante la solenne Veglia Pasquale con la svelata della statua del Cristo Risorto e ancora più suggestiva, in alcuni casi, la comparsa della statua del Cristo Risorto dietro all’altare. Al momento del Gloria la Risurrezione viene salutata dallo scampanio a festa delle campane.
Nel Duomo di San Leoluca la Risurrezione viene annunciata dai rintocchi di un’antica campana che viene posizionata all’entrata della chiesa e, dalla porta centrale, viene spinta verso il centro del Duomo. Nel Giorno di Pasqua, sono numerosi i centri del Vibonese dove si svolge l’Affruntata, detta anche “Cumprunta” o “Ncrinata”, cioè l’incontro tra la statua della Madonna con il Cristo Risorto. A Carìa di Drapia si svolge tale manifestazione con personaggi in carne ed ossa al contrario di quanto avviene in tutti gli altri centri del vibonese. L’ultima comunità del vibonese a chiudere le funzioni Pasquali è la comunità di Dasà che il Martedì dopo Pasqua svolge anch’essa la “Ncrinata”.
Francesco Rizza
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