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Avevo pensato di scrivere qualcosa sul “dibattito” che è nato, con toni francamente incomprensibili e urticanti, a seguito alle dichiarazioni (che andrebbero lette, al di là che si sia d’accordo o meno, in toto o in parte, con lucidità, con serenità e senza la presunzione di essere i proprietari dell’ identità (termine usato a sproposito e senza sapere bene cosa significhi) di Corrado Augias.
L’ho scritto, ma non l’ho pubblicato perché ho avuto una terribile sensazione di “deja vu”, di una “polemica” scontata, ripetitiva, sterile. Almeno dal Cinquecento (ne hanno parlato, tra gli altri, Augusto Placanica, Battista Sangineto) alle immagini (negative o positive, ostili o edulcorate) e ai giudizi (o pregiudizi) esterni (o anche interni) sulla nostra terra sono seguite reazioni, risposte, polemiche, a volte fondate, a volte motivate, altre volte rituali, ripetitive.
Questo gioco perverso di sguardi, che quasi sempre trascurano e ignorano la complessità e le contraddizioni, ha generato una letteratura periferica, marginale, angusta che non è mai “servita” alla Calabria e ai calabresi. Dal periodo post-unitario (Lombroso, Niceforo) agli anni di Miglio e Bossi, dagli anni Cinquanta ad oggi, la Calabria ha dovuto sempre inseguire immagini e giudizi esterni, spesso positivi, lucidi, non ostili. La sensazione è che non si esce fuori da una costruzione “identitaria” che gioca di rimessa, spesso rancorosa, subalterna, difensiva.
Certo che le immagini condizionano e modificano la realtà, il fatto è che spesso finiscono con l’ignorarla, con il cancellarla. Come se l’oggetto di polemica e di discussione (la Calabria) non esistesse, fosse irrilevante, ridotta a luogo comune, a leggenda. Quello che non vedo in questo dibattito è l’emergere di un’identità del fare che, assieme a quella dell’essere, sappia parlare anche di cosa fare, di progetti, di idee e iniziative per il futuro.
E appare consolatorio avere qualcuno a cui rispondere perché ha l’ardire di segnalare gli aspetti negativi della regione, le responsabilità dei suoi governanti e dello Stato nazionale, dei suoi gruppi dirigenti e delle persone. Basta vedere i conflitti, i litigi, la ricerca del proprio particolare, la creazione di frammentazioni, l’incapacità di costruire un gruppo coeso che miri al cambiamento e a ribaltare questo stato delle cose, basta vedere come si muovono, si agitano, si scompongono le forze politiche che dovrebbero governare la regione, basta osservare trasversalismi di ogni genere e partito unico degli affari che opera in maniera palese e sotterranea, basta pensare a quanto accade nella sanità, in molte istituzioni pubbliche dove prevale corruzione e illegalità…basta…l’elenco sarebbe lungo…perché la Calabria possa dire, come Zarathustra di Nietzsche: “Tutti costoro parlano di me, ma nessuno pensa a me”.
A me non resta che scusarmi se mi vedo costretto a pubblicare vecchi articoli o rimandare a libri scritti (fin da inizio anni Novanta) non certo per il (cattivo) gusto di affermare “l’avevo detto io”, ma solo perché qui (nonostante cambiamenti e resistenti e presenza di novità positiva) si ha la sensazione che nulla cambi davvero, anzi si vada sempre verso il peggio. Servono discorsi seri, veri, complessi, responsabili, bisogna capire che forse la Calabria (con il sostegno benevolo e amorevole di Italia ed Europa) faccia (a livello economico, politico, culturale, etico) scelte, davvero, radicali, straordinarie, eccezionali.
Vito Teti, antropologo
in “La Lettura – Supplemento del Corriere della Sera” (6,12,2020)
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