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Un tempo non molto lontano, al mio paese, per la festa del Santo patrono si vestivano a festa finanche le capre. Ricche stole ricamate sul dorso e ghirlande di fiori di carta crespa sulle corna, qualche volta finanche una collana, erano proprio le “Capre parate” ad aprire la processione di San Francesco da Paola; prima di essere vendute all’incarto contribuendo così alla realizzazione della festa. Ad un povero allevatore, raccontano che un anno capitò davvero una strana avventura. Mentre si avvicinava la festa e già stava strigliando la capra prescelta, un maiale gli rivolse la parola e, con tono stizzito, “sei un infame!” gli disse.
Il poverino, dalla meraviglia, sgranò gli occhi quanto due patate ed il maiale vedendolo stupito, iniziò la sua arringa. “Sta capra – spiegò – ormai è vecchia. Di certo non ti da’ neppure il latte, ma la stai facendo proprio bella per la processione. A me che st’inverno offrirò mille leccornie alla tua tavola, invece, una serata come quella non mi tocca!”. “Ma un maiale alla processione non s’è mai visto!” farfugliò il poverino.
“Ecco – riprese l’animale – lo sapevo che ti vergogni di me. Ma stanne certo, delle mie salcicce non te ne vergognerai. Anzi, quando saranno pronte, le appenderai al calduccio vicino al focolare. Eppure fa’ come vuoi – terminò la propria perorazione – poi, però, non dire che ad essere gentile con i porci è tutto sprecato ché, stavolta, l’ingrato sei proprio tu!”. Rincasato, il poverino dalla stizza a mala pena riuscì a mangiare un po’ di pane e, subito, andò a letto. L’indomani, però, aveva deciso. “L’arciprete e la gente – si disse – pensino ciò che vogliono, ma quest’anno alla processione porterò il mio maiale! Se lo prendano pure come offerta, tanto un maiale così sofista solo io posso sopportarlo e dopo poco da me ritorna”. Ciò avvenne.
Sarà stato per il foulard giallo o per il mantellino rosso sulle grasse e grosse spalle ma alla processione, al centro dell’attenzione, c’era proprio lui, il maiale. Baldanzoso ed emozionato addirittura per gli sguardi della gente stupita. Tutto andò bene, fino ad una pozzanghera. Che volete, allora Petilia non era ancora città e ad ogni piovuta, anche le pozzanghere avevano il diritto di mettersi in mostra. C’è bisogno che vi dica che accadde? Vedendola, quasi si trattasse di una vecchia amica, il maiale si staccò dal guinzaglio le corse incontro e, plafff, giù nel fango a rotolarsi fra gli schizzi e lo stupore della gente. Per un attimo, addirittura, sembrò che anche la statua del Santo, trasformò il burbero sguardo in un sorriso. Anche se per pochi secondi.
L’allevatore, invece, dalla vergogna avrebbe voluto scomparire. Appena, comunque, si riprese il guinzaglio diventò un frustino e, fra calci ed imprecazioni, i due rincasarono. “Adesso, però, finiscila con questo broncio, altrimenti davvero non ti parlo più” disse il maiale al suo padrone che, dalla stizza, neppure la solita broda avrebbe voluto dargli. Al poverino, dal nervosismo, sembrò d’impazzire: “e ti dovrei fare l’inchino?” domandò al porco. “Ma di che ti meravigli – rispose il maiale – noi animali – spiegò – non siamo come voi uomini che cambiate abitudini, ideali e se possibile pure moglie ad ogni folata di vento. Il porco – aggiunse filosofico – può cambiare aspetto e sembrare barone, stare nel fango o indossare il foulard ed il mantello pure, ma ha una sua dignità: sempre porco rimane!”.
Francesco Rizza
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