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Una voce autorevole della Calabria, anche se da decenni trasferita a Torino, non c’è più. E’ morto negli scorsi giorni Filippo Falbo, poeta, scrittore e critico letterario. La sua è stata, lungamente, una delle più autorevoli voci calabresi nella letteratura letteraria per la pluralità di generi letterari utilizzati con padronanza e lucidità.
Nelle sue numerose pubblicazioni, alcune come “Racconti di Fiume di Lago” editi da importanti case editrici come la Laterza, è stato il cantore della Calabria e delle sue tradizioni, descritte sia in opere di narrativa che di poesie.
Importante anche le sue traduzioni delle favole di Fedro che, edite dalla casa editrice “Aracne” del 2009 è fra le antologie dell’Autore latino maggiormente utilizzate nelle scuole superiori italiane. Particolarità della stessa traduzione l’utilizzo di endecasillabi rimati per porgere in Italiano gli scritti del noto Scrittore romano. Come è capitato a numerosi “Calabresi della diaspora”, nella Capitale sabauda dove era ben inserito si era inserito con autorevolezza nell’ambito culturale e letterario nazionale venendo apprezzato da Italo Calvino e mantenendo rapporti di stima con il filosofo Gianni Vattimo.
“Legatissimo alla sua terra e alla sua lingua d’origine – osserva per esempio Alberto Figliuzzi che ne ha recensito alcune opere – Filippo Falbo conserva ricordi vivissimi del ricco e vivace mondo di una volta, radicato in costumi e tradizioni che purtroppo la sempre più pronunciata uniformità della realtà contemporanea tende a cancellare. Con un eccentrico estro fantastico egli sa rappresentare questo mondo ormai lontano, come nella raccolta “Racconti di fiume e di lago” che, su questa pagina, egli vuole dedicare non solo al suo paese, ma anche ai tanti altri luoghi che occupano un posto centrale nella sua memoria”.
“ Guidato – aggiunge Figliuzzi – da una poetica del tutto estranea alla formula verghiana di una scarna e distaccata rappresentazione della realtà Falbo, partendo da figure e situazioni di apparente ordinarietà, con fervida fantasia ne rappresenta via via, invece, i tratti singolari e nascosti, sviluppando storie molto complesse sul piano sia dei rapporti umani e sociali che su quello dell’interiorità dei personaggi; curando con maestria e originalità narrativa particolari ambientali e psicologici, carichi spesso di senso del mistero e della difficile decifrabilità dell’esistenza umana, e tuttavia non privi di aspetti considerati con divertito ma pensoso umorismo”.
“I Racconti su un Sud – osserva da parte sua Luigi Capozza, – come luogo privilegiato di una indimenticabile Weltanschauung, che lega la forza della memoria e il senso della perdita della propria infanzia elevate a simbolo universale della “faccia” drammatica della vita e della morte, della precarietà e della fragilità dell’esistenza, che la nostra epoca, figlia, direbbero i vangeli, di mammona e di nuovi spietati poteri, sembra voler legittimare come condizione naturale e irreversibile, se non addirittura come portatore di nuove e magnifiche sorti e progressive”.
Francesco Rizza
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