Mancano 3 anni al quinto centennario dell’arrivo della Sacra Spina a Petilia Policastro. Appello di don Pasquale Marrazzo: “Iniziamo a ragionare sul da farsi”.

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“22 agosto 1523  – 22 agosto 2020: tre anni per preparare il  quinto centenario dell’arrivo della Sacra Spina in Petilia Policastro. Un tempo congruo se ci diamo da fare in tutti i sensi. Io mi permetto di lanciare l’idea a chi di competenza la preparazione”.

E’ don Pasquale Marrazzo vicario foraneo e già rettore del Santuario petilino a lanciare l’appello affinché, almeno su date come queste,  non ci si lasci prendere dall’apatia e si inizi  a programmare qualcosa di serio per festeggiare 500 anni di una presenza talmente importante nella cittadina dell’alto Marchesato crotonese  da essere divenuta un vero e proprio “genus loci” unitamente all’ Ecce Homo di Mesoraca ed al Crocefisso di Cutro, scolpiti   da frate Umile da Petralia, con cui rappresenta quello che gli studiosi chiamano il “triangolo del sangue” della devozione calabrese.

Secondo la tradizione nell’agosto del 1523 quando all’allora convento minorico di Santa Maria Eremitana, nei verdi querceti sovrastanti Petilia,  arrivò un inatteso dono. Una Spina proveniente alla Corona di Cristo donata dalla regina francese Giovanna Valois a mons. Dionisio Sacco confessore della corte di Francia che al momento di morire l’aveva donata al nipote padre Ludovico Albo, anch’egli Francescano, chiedendogli di consegnarla alla comunità in cui si era formato.

A quei tempi, infatti, il convento petilino era già uno studentato per i giovani  calabresi che sceglievano la sequela del Serafico d’Assisi. A distanza di 50 anni dall’arrivo della Sacra Spina, mons. Antonio Santoro riconobbe ed autorizzò la devozione popolare del noto sacramentale al termine del cosiddetto processo: la Sacra Spina fu gettata tre volte in un braciere ardente e tutte e tre le volte ne schizzò, miracolosamente fuori. E l’arcivescovo decretandone il culto ne decise anche la data: il secondo venerdì di marzo.

Era un secondo venerdì di marzo l’8 marzo 1832 quando in seguito ad uno dei tanti terremoti a Policastro si contarono “solo” 29 morti ed iniziò così la tradizione del pio pellegrinaggio del Secondo Venerdì di Marzo: appuntamento di fede fra i più noti della Calabria mediana per il quale sono numerosi i fedeli che ritornano anche dal Settentrione italiano. 

Ai giorni nostri, da più lustri, il Santuario petilino vive uno stato di quasi abbandono che cozza non solo con la sua storia, ma anche con la devozione del Marchesato crotonese. Dagli anni ’80 del Novecento, tramite un contratto di fitto, la gestione è passata dalla Provincia dei Francescani Minori all’ Arcidiocesi di Santa Severina e, particolarmente negli ultimi anni, i fedeli che vi arrivano lamentano di trovare la porta della chiesa chiusa. A ciò si aggiunge che, a distanza di circa 20 anni  dall’inizio dei lavori di ristrutturazione, nonostante ingenti spese e lavori iniziati e non completati, non è possibile ricollocare al proprio posto quella volta lignea opera di Cristoforo Santanna, nonostante che il certosino restauro della Sovrintendenza alla Belle Arti l’abbia riportata al proprio splendore.

Non è un caso, dunque, che negli scorsi mesi il sindaco di Petilia Amedeo Nicolazzi, facendo forza su un documento del 1800 che assegnava il convento al Comune  abbia richiesto che il Municipio rientri nella gestione del luogo di fede. Negli scorsi mesi si sono svolti degli incontri fra lo stesso Sindaco ed il provinciale dei Frati padre Mario Chiarello secondo cui i Francescani sarebbero intenzionati a ritornare nel proprio convento, ma il confronto è stato rinviato al prossimo settembre per consentire a mons. Angelo Panzetta da poco arrivato a guida dell’ Arcidiocesi di discernere con più consapevolezza i progetti dell’ Arcidiocesi sul santuario petilino. 

Intanto nelle prossime settimane dovrebbe partire un progetto del Parco Nazionale della Sila relativo ad un percorso anche ciclabile fra il Santuario petilino e quello mesorachese. Che sia l’occasione del quinto centenario dell’arrivo della Reliquia a fare il miracolo da tutti sperato?

Francesco Rizza

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