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Abbiamo già citato S. Tommaso d’Aquino, che, checché se ne voglia dire, nacque nel castello avito di Belcastro, e la renovatio gioachimita; tuttavia ci si dimentica volentieri che fino al XV secolo, specie in Calabria, i documenti venivano redatti in greco bizantino, in realtà nella lingua ellenistica diffusa da Alessandro Magno fino all’India e per tutto il nostro Mediterraneo, e successivamente anche in latino, che erano, dunque, le lingue ufficiali e che in un modo o nell’altro venivano insegnate, e parlate per quanto e nei modi possibili. Ma quello a cui appena si accenna e di straforo specialistico, nei saggi e nelle analisi, è che furono tanti i dotti che dal Sud andarono ad insegnare tali lingue nel resto d’Italia e d’Europa.
Si parla genericamente per l’Italia e alcune parti d’Europa di civiltà greco-romana e cristiana, ma non se ne precisa l’esatta provenienza, che invece parte proprio dalla Magna Grecia e dal Mediterraneo (ripreciso: meridionale). Il calabrese Cassiodoro “educò”, diciamo così, alla civilitas romana i Goti e costituì in Calabria, a Squillace, il Vivarium, dove fin dalla sua epoca, VI secolo, si traduceva la cultura greca e orientale, Sotto la sua guida si iniziò un lavoro di trascrizione e traduzione dei testi latini e greci. La sua opera più importante, le Institutiones divinarum et saecularium litterarum, è un manuale in due parti introduttivo allo studio sia della Bibbia sia, guarda il caso, delle arti liberali tanto amate dai rinascimentali, utilizzando, per esempio, anche testi di Euclide e Nicomaco di Cerasa. Quello che però sfugge, diciamo: si dimentica volentieri, è l’apporto dei monaci basiliani calabresi, che tradussero i testi della Grecia classica, fino ai matematici Arabi, oltre agli antichi testi latini. I monaci Barlaam (o monaco Bernardo) e Leonzio Pilato, ambedue di Seminara, furono i maestri di greco di Petrarca e Boccaccio. Il recupero e le traduzioni dei codici rispondevano anche ad un bisogno filologico, che quindi non fu certo l’invenzione solitaria e chissà da quale cielo calata di un Valla.
Siamo stati talmente privati e defraudati della nostra storia che oggi si osanna il saggio del medievista Sylvain Gouguenheim, “Aristote au Mont Saint-Mischel” [una località francese della Normandia]. Le racines grecques de l’Europe crétienne”, che attribuisce ai monaci copisti del monastero benedettino di colà la traduzione dei classici greci. Lo storico è da apprezzare per la polemica, ampiamente e definitivamente documentata, contro la falsa vulgata attuale che vorrebbe la salvezza del pensiero greco ad opera degli intellettuali islamici. Va bene. Però, mentendo, tralascia o non conosce (il che per uno storico è quantomeno singolare) che a copiare, tradurre, divulgare e insegnare per tutta Europa le opere della cultura greca furono, appunto, Cassiodoro fin dal Vi sec. D.C. e i basiliani, mentre la comunità monastica di Mont Saint-Michel fu fondata nel 996 da Riccardo I Senzapaura, duca di Normandia. Dunque, ben 4 secoli dopo Cassiodoro.
Già Boezio (Roma-Pavia) tra V e VI secolo conosceva Aristotele, nonché Platone e gli altri, e tra il 502 e 520 studiò, tradusse e diffuse le opere di Aristotele in Italia e Europa, tanto che viene da molti riconosciuto come fondatore della scolastica. E, guarda caso, quando cadde in disgrazia fu sostituito proprio da Cassiodoro; Pipino il Breve nell’VIII sec chiedeva a Papa Paolo I di inviargli le opere di Aristotele, ben conosciute e possedute tradotte a Roma e ai Papi; ; Al Farabi, Avicenna, Averroè non leggevano il greco e le opere vennero tradotte in arabo dai cristiani aramaici e siriaci, che quindi già tra V e VI sec conoscevano Aristotele e gli altri autori; la cultura greco-bizantina, del resto, era vissuta ed esercitata principalmente in Calabria, dove si parlava ancora il greco ellenistico e dove i documenti ufficiali venivano redatti in greco fino al XIV-XV sec, tanto che lo stesso Petrarca scelse come insegnanti di greco intellettuali calabresi.
Grandi umanisti furono tra XV e XVI secolo Antonio Telesio (nonno del più famoso Bernardino), Giovanni Paolo Parisio, detto Parrasio, Sertorio Quattromani, Lucrezia della Valle, Francesco Franchini, Giano Teseo Casopero, tutti legati, pur se originari d’altri paesi calabresi, all’Accademia Cosentina e tutte personalità che intrattennero rapporti importanti col resto d’Italia, mentre altri Italiani venivano da noi. Ma Accademie sorsero, ad esempio, anche a Vibo Valentia, Maida, Rossano. E tuttavia si relega al massimo alle narrazioni erudite locali perfino un Aloysius (Luigi) Lilio, il grande scienziato cirotano rinascimentale, ideatore della riforma del calendario, detto gregoriano, dal nome del papa Gregorio XIII. Si liquida in 3-4 paginette, nelle varie Storie della Filosofia, il vero grande filosofo rinascimentale, Bernardino Telesio, il primo estensore del metodo scientifico moderno, di indagare cioè la natura attraverso l’osservazione e secondo i suoi princìpi, e che, per esplicita ammissione, influenzò il pensiero di Bruno, di Cartesio, Bacone, Campanella, Galileo e Hobbes, e diede il via al sensismo, all’empirismo e all’utilitarismo.
Si esalta Machiavelli, diciamo con buona attendibilità, ma si tratta come una brodaglia utopistica indigesta, oscillante tra immanentismo e papismo, il pensiero tardo rinascimentale di Campanella, e si tralascia così come troppo contraddittorio il suo fidarsi nella comprensione delle cose del mondo della Ragione. Quella ragione, invece, che va molto avanti, potremmo dire fino ai giorni nostri, a “debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia …”. Ci si dimentica della grande scuola d’amministrazione meridionale e poi si apprende che Lodovico il Moro si serve del grande caccurese Cicco Simonetta per amministrare Milano.
È ancora abbastanza difficoltoso ricostruire il Rinascimento calabrese e meridionale, anche se Napoli, obtorto collo, viene riconosciuta come una delle capitali di quel movimento. Ma Napoli non era la capitale del nostro Regno? E quindi perché il Rinascimento non dovrebbe esistere in Calabria, anzi essere la Calabria stessa una delle terre promotrici? Ci si ricordi al proposito che l’opera classica più usata dagli umanisti fu forse il Codice Giustiniano, scritto da Giustiniano I (il più antico fondamento delle attuali leggi), dal quale poterono ricavare oltre che un Codice civile anche una buona base di studio delle lingue antiche.
Esponenti importanti di questa nuova dottrina furono Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. I primi due, come si sa, calabresi. Qui bisognerebbe prender il discorso, ma lo riprenderemo in seguito, di quanto sia costato il presunto Risorgimento ai popoli meridionali, e calabresi in particolare. A tralasciar altro, popoli depredati e privati ancor oggi della loro storia, civiltà, spiritualità e cultura, e descritti come arretrati, ignoranti, poveri, rozzi, briganti e succubi.
Altamente meritoria ad ogni modo è l’opera che va svolgendo nel campo la Rivista Rinascimento meridionale dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento che annovera tra i suoi membri Carmela Reale dell’UNICAL ed ha nel Comitato scientifico la presenza di Università statunitensi, canadesi, spagnole e della Gran Bretagna. In passato si fregiava anche della presenza del grande filologo e storico Michele Cataudella, morto nel 2013.
Luigi Capozza
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