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Nacque in Calabria, a Strongoli cittadina delle mitiche origini magno greche, Leonardo Vinci musicista omonimo dello scienziato rinascimentale ed inventore di quel genere musicale che sarebbe diventato il melodramma. A Napoli, allora capitale del Regno, questo musicista rappresentò a cavallo dei secoli XVII e XVIII una della figura più importanti nel periodo che le arti erano condizionate dal barocco anche per una biografia controversa come controversa fu la sua morte. “Pur essendo trattati generi come la strumentale, l’oratorio ed altra musica sacra – annota Amedeo Furfaro nella propria “Storia della musica e dei musicisti in Calabria – è nel teatro musicale che si attua il fenomeno denominato dalla storiografia dell’Ottocento “Scuola Napoletana”.
Di fatto, l’opera napoletana ovvero, se si preferisce, neoclassica o metastiana, famosa per il virtuosismo dei cantanti lirici, privilegiato rispetto agli esiti della vicenda ed alle sfumature pricologiche e sentimentali dei personaggi in scena, esposta nel dare svago ad un pubblico mondano desideroso di acclare l’operista di grido, diffonde in Europa la sua immagine italiana e si inserisce nei flussi artistico culturali del vecchio Continente”. Se questo è lo scenario generale, come osserva Furfaro, furono numerosi gli artisti calabresi che riuscirono a ritagliarsi uno spazio importante nella Città partenopea che, per gli artisti calabresi che volevano approfondire le proprie conoscenze musicali, rappresentava un polo attrattivo dei più importanti. Centro nevralgico d’incontro e di formazione per molti musicisti del Regno fu il Conservatorio “dei poveri di Gesù Cristo” fondato dal frate nicoterese Marcello Fossataro. Alla sua scuola, Vinci riuscì a progredire talmente negli studi musicali da arrivare a comporre le partiture musicali per le opere di celebri scrittori come il Metastasio. Del noto poeta, infatti, il musicista strongolese musicò i libretti “Didone abbandonata”, “Siroe, re di Persia”, “Catone in Utica”, “La Semiramide riconosciuta”, “Alessandro nelle Indie” ed “Artaserse” che, nel 1730, fu l’ultima opera musicata e messa in scena da Leonardo Vinci.
Scapigliato come molti artisti, il Nostro univa al successo nelle principali città italiane, Roma compresa, una quotidianità avventurosa come quella sognata dagli artisti romantici.Addirittura, ancora ai nostri giorni, non è chiaro il motivo della sua morte avvenuta il 23 maggio del 1730 quando ancora era talmente giovane da poter comporre chissà quante opere e raggiungere chissà quale fama. Dalle testimonianze di Metastasio e di Ferragoni, il Musicista di Strongoli sarebbe stato avvelenato al culmine di un intrigo amoroso. Nonostante la fama, lo stesso Vinci morì povero a tal punto che toccò alla sorella del cardinale Ruffo provvedere economicamente al suo funerale ed alla sua sepoltura nella chiesa di Santa Caterina a Formello.
Leonardo Vinci era nato a Strongoli nel 1690 ed all’età di 18 anni si era trasferito a Napoli per perfezionare i propri studi. Dal 14 novembre 1708 per 10 anni frequentò come allievo il Conservatorio diventando nel 1719 “maestro di cappella” del principe Sansevero Paolo Sangro dando lezioni di musica al di lui figlio Raimondo. Fu in questo periodo che compose le prime opere teatrali in dialetto napoletano come “Lo cecato Fauzo” rappresentato nel teatro dei Fiorentini e “Le doje lettere”. Già questi primi lavori ebbero un discreto successo. Le stesse opere ed altre sei commedie scritte nello stesso periodo furono, insieme agli scritti di Leonardo Leo, i primi libretti del genere melodrammatico. L’apice del successo arrivò nel 1722 con “Le zite ‘n galera” rappresentate nel teatro “San Bartolomeo”. Presso il “Teatro Nuovo”, invece, furono rappresentate “La festa di Bacco” e “La mogliera fedele” ultime due commedie composte da Vinci che, cambiando genere letterario, passò alle opere storiche come “Publio Cornelio Scipione”.
Fra queste opere, si può osservare come una delle principali caratteristiche dello stile di Leonardo Vinci fu quella spiccata melodiosità che fu una caratteristica precipua di tutta la Scuola musicale napoletana. Melodiosità che, nelle opere di Vinci, si somma alla riduzione al minimo del contrappunto della linea vocale che consente alla linea vocale di salire con una certa facilità.
Il Vinci, dunque, come osserva Furfaro “innova il melodramma con l’introduzione del recitativo accompagnato dal l’orchestra. Stabilisce, quindi, ulteriori momenti di raccordo fra area melodica e prosa”. Nel 1724 Vinci fu invitato a Roma per la rappresentazione de “Il Fernace” su libretto di Antonio Maria Lucchini che aveva musicato componendo altre due opere per la città di Napoli e “L’Ifigenia in Tauride” rappresenta per la prima volta a Venezia nel 1725. Sempre nello stesso anno divenne vice maestro della Cappella reale partenopea e nel 1728, aggregandosi alla confraternita del Santissimo Rosario presso la chiesa di Santa Caterina al Formariello, alla morte di Gaetano Greco, divenne maestro di cappella presso il conservatorio in cui si era formato da allievo avendo fra i propri allievi il Pergolesi. Tutto questo partendo da Strongoli è da quel Marchesato crotonese che continua ad avere tanta storia e tante potenzialità da andarne orgogliosi. Basterebbe averne una maggiore consapevolezza.
Francesco Rizza
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