Le incursioni turche sulla Costa jonica crotonese e tre prigionieri famosi: Dionigi Galeoni (Uccialì) Sarra Rossa e Caterina Ganguzza.

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su whatsapp

“Allarmi, Allarmi ‘a campana sona \ li Turchi su arrivati a ra marina \ chi tena scarpe vecchie se risola \ c’avimu fare nu luongu caminu”. Quello delle Inversioni turche e saracene, fra il XV e XVI secolo,  fu fra i periodi più tristi per la Calabria e la costa jonica calabrese.  Lo scontro fra la Costa cristiana e quella ottomana del Mediterraneo, in un lungo periodo in cui non era il calmo mare abbracciato fra l’ Europa e l’ Africa settentrionale, era iniziato al tempo delle Crociate e non terminò neppure in seguito alla notissima “Battaglia di Lepanto”.

Scialuppe di soldati, ma anche di semplici di semplici avventurieri e predatori, attaccarono lungamente le Coste calabresi arrivando anche nell’Entroterra presilano alla ricerca di bottini e prigionieri. Fra questi ultimi, il più noto fu Giovanni Dionigi Galeoni, nativo del borgo di Le Castella, nel comune di Isola Capo Rizzato, che dopo essere stato rapito giovinetto, si fece musulmano col nome di Ucciali e divenne corsaro e ammiraglio ottomano che imperversò in tutto il Mediterraneo e partecipò alla battaglia di Lepanto. Nel frattempo mentre in Calabria la sua figura rimase leggendaria, a Costantinopoli divenne talmente famoso che, dopo la sua morte gli venne dedicata, nel quartiere di Calata, la moschea di Kilic Ali Pascia.

 Poco note le figure di due prigioniere native del Crotonese: Sarra Rosa di Mesoraca  e Caterina Ganguzza di Cutro. Erano entrambe due donne bellissime tanto che i Sultani del tempo le volevano fra le proprie concubine. Mentre però Sarra Rossa per non abiurare la propria fede si fece uccidere, Caterina Ganguzza visse  in corte. Durante la sua permanenza a Costantinopoli. Nel lungo periodo della sua permanenza a corte conobbe un altro prigioniero calabrese: il domenicano fra’ Tommaso Da Vieti che divenne suo confessore. Riscattato dai Domenicani o liberato grazie all’intercessione di Caterina Gangaluzza, il Frate riuscì a ritornare in Calabria ricevendo dalla stessa un’ampia quantità di denaro con il quale, oltre a migliorare il convento di Santa Caterina a Cutro, questo denaro fu utilizzato dalla Provincia domenicana dell’ Italia meridionale per costruire a Napoli un convento che avrebbe dovuto ospitare i Frati anziani nativi della Calabria.  Col tempo lo stesso convento, sotto il titolo di Santa Maria della Salute anche grazie ad alcuni privilegi concessi da papa Pio V divenne uno del maggiori conventi domenicani dell’ Italia meridionale.

Francesco Rizza

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp