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Ha quasi 1000 anni ed è probabilmente uno degli alberi più antichi del pianeta. Nel territorio di Santo Stefano d’Asporomonte, nel più meridionale dei parchi nazionali della Penisola, un team di studiosi dell’Università della Tuscia guidato da Gianluca Piovesan ritiene di aver trovato una quercia di un’età vicina ai 934 anni.
L’età dell’albero, al quale è stato dato il nome di Demetra in omaggio alla dea greca della natura e dell’agricoltura, è stata misurata attraverso analisi al radiocarbonio a cui sono state sottoposte anche altre 4 grandi querce la più ”giovane delle quali” è risultata avere ben 570 anni.
Lo studio, coordinato da Gianluca Piovesan insieme a Jordan Palli e Michele Baliva, è stato pubblicato sulla rivista Ecology nella sezione Scientific naturalist, ed ha ad oggetto la longevità delle querce che crescono sulle montagne mediterranee del Sud Italia.
In particolare le querce prese in esame nel Parco d’Aspromonte si trovano su ripidi pendii rocciosi, spesso difficili da raggiungere; una condizione di isolamento che ne ha certamente favorito la sopravvivenza. L’età estremamente avanzata di Demetra va ad espandere di oltre 300 anni la longevità massima conosciuta per le latifoglie analizzate, sempre in Calabria, nel Parco Nazionale del Pollino, e relative a due faggi di 620 anni soprannominati Michele e Norman.
Lo studio dell’Università della Tuscia risulta particolarmente prezioso in quanto studi scientifici sulla determinazione precisa dell’età delle querce raramente sono stati condotti in Europa. “Studiare la longevità degli alberi in risposta ai cambiamenti climatici in ambienti diversi – ha affermato Gianluca Piovesan – è una priorità di ricerca sia per la conservazione della natura sia per le strategie di mitigazione del cambiamento climatico”. Popolamenti antichi come quelli dell’Aspromonte – ha puntualizzato Isabel Dorado-Liñán, componente del team di ricerca – “consentono infatti di ricostruire la storia ambientale dell’area, permettendo altresì di capire come le variazioni ambientali, in particolare il clima, hanno modellato la struttura e la funzione della foresta. Ed è proprio in questa direzione che proseguirà il nostro studio sulle querce del Parco d’Aspromonte”.
Acquisire dati per uno studio caratterizzato da così numerose implicazioni, non è stato per nulla semplice. “Prelevare i campioni per la datazione – hanno spiegato Jordan Palli e Michele Baliva del DendrologyLab dell’Università degli Studi della Tuscia – è stato particolarmente arduo per due ragioni: in primo luogo perché questi antichi alberi si trovano su ripidi pendii rocciosi di alta montagna, difficili da raggiungere e da percorrere. In secondo luogo, perché individui molto vecchi risultano spesso cavi nella parte interna del fusto a causa di secoli di esposizione alle intemperie, ad organismi nocivi e patogeni naturali, e ciò fa sì che gli anelli più antichi siano spesso mancanti o gravemente degradati, rendendo molto difficile l’identificazione e la raccolta degli anelli più vicini al midollo per la datazione con il metodo del radiocarbonio. Nel DendrologyLab – hanno aggiunto i due ricercatori – abbiamo quindi effettuato una meticolosa analisi allo stereoscopio per identificare gli anelli più vecchi nei nostri campioni, e date le loro dimensioni molto ridotte, abbiamo dovuto utilizzare un bisturi per prelevarli”.
. “Qui – ha affermato Antonino Siclari del Parco Nazionale d’Aspromonte – le riserve naturali integrali preservano estese foreste plurisecolari dove vivono le specie vulnerabili che richiedono per il loro ciclo di vita alberi habitat molto vecchi, come ad esempio coleotteri come il Buprestis splendens o l’Osmoderma italicum. Infatti emerge sempre con maggiore evidenza che gli ecosistemi forestali di montagna nelle regioni temperate e boreali, dove vivono gli alberi più antichi della Terra, hanno un valore conservazionistico rilevante.” “Proprio per tale motivo – aggiunge, concludendo, Piovesan – in un recente lavoro con Alessandro Chiarucci dell’Università di Bologna pubblicato su Conservation Biology abbiamo sottolineato la necessità di mappare tutti gli ecosistemi forestali di elevata naturalità nei diversi biomi del mondo al fine di proteggerli e così raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile”.
Francesco Rizza
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