La zampogna, “capra che suona” nell’antropologia calabrese e nel “sostrato greco”.

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” ‘A solita zampugna calurusa ccu ra nive è scinnuta ara marina \ e mo de vientu e dde lamientu chjna \ sona ra ninna ad ogne porta chiusa.\ E’ ra santa Vijìlia de Natale \ Sona zampogna! Sona ‘a pasturale”: non può fare altro che rivolgersi alla zampogna, per rievocare i propri nostalgici ricordi natalizi in una delle proprie poesie più famose Vittorio Bufera, che con Michele Pane fu il maggiore poeta del Lamentino a cavallo dell’ Otto e Novecento.

Ancora oggi, le note dello stesso strumento hanno l’abilità di riportare alla memoria delle persone più anziane i ricordi della propria gioventù e nella memoria dei più giovani pagine fra le più note della letteratura calabrese e dell’intera Italia meridionale perché strumento privilegiato di quei pastori di cui, come scriveva  in “Gente d’Aspromonte” Corrado Alvaro,  non è bella la vita d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante”.

Se dalla Calabria ci si sposta all’ Abbruzzo un altro ricordo letterario sulla zampogna è quello che affiora relativamente a “L’Avventura Di Un Povero Cristiano” piece teatrale che Ignazio Silone ha dedicato a Celestino V, il papa che non fu semplicemente quello “del gran rifiuto” come lo definisce Dante Alighieri ma un uomo dal forte spirito  che, però, il quel carcere che era diventato per lui il Vaticano prima di prendere la decisione di dimettersi e scendere dal “soglio petrino” sentì il richiamo della terra natia arrivatagli dall’ Abbruzo appunto con le note di alcune zampogne.

Quali le origini della zampogna? se la mitologia greco romana collega l’invenzione della zampogna al dio Saturno, pare che anche gli Egizi ebbero uno strumento alquanto simile ma, come osserva Domenico Cedrone dell’ Associazione Internazionale Calamus: “Sono stati i Greci ed i Romani che contribuirono tantissimo alla sua diffusione. Si può ipotizzare che un centro propulsore, anche a quell’epoca, fosse proprio la Ciociaria. Qualcosa di molto simile alla zampogna, il cosiddetto Utricularium, era usato nell’antica Roma e Nerone n’era un valente suonatore, stando almeno a quanto racconta Svetonio”.

Secondo alcune leggende la zampogna sarebbe in qualche modo legata alla figura di Pan che poggiato su un cane, ha nella mano destra un bastone e nella sinistra il  proprio flauto,    cioè la siringa. Il bastone simboleggia tutti gli elementi maschili del cosmo, la siringa tutti quelli femminili. Con l’evolversi del tempo,   il bastone di Pan si sarebbe trasformato in un bordone di zampogna, la siringa nel chanter con tre fori. Ciò avrebbe permesso a Pan di armonizzare attraverso il suono   gli elementi maschili del cosmo con quelli femminili.

Il collegamento  fra la zampogna ed il periodo natalizio si collegherebbe al fatto che lo stesso Pan, nel   solstizio di inverno, con la zampogna incoraggiava la rinascita del sole e, in più, dirigeva il caos da lui stesso provocato verso un nuovo ordine cosmico. L’iconografia medievale ben ci informa della diffusione e della varietà morfologica dello strumento. Una leggenda narra che San Francesco abbia inserito per primo una coppia di suonatori di zampogna nel suo Presepe… che da allora sono rimaste figure sempre presenti.

In Calabria,  particolarmente in Aspromonte dove  l “sostrato greco” anche nella musica è più forte che altrove, la zampogna è conosciuta come la “Capra Che Suona”.  Come osservano Antonello Ricci e Roberta Tucci nella prefazione de “Immagini e suoni della musica popolare in Calabria”, si tratta di “uno   strumento emblematico di una tradizione musicale tramandata oralmente e tuttora praticata da numerosi musicisti popolari, depositari di un patrimonio di canti e suoni eseguiti  nel ciclico avvicendarsi degli eventi. A questa tradizione che travalica l’ambito strettamente musicale per investire un sistema culturale imperniato su pratiche di vita, comportamenti sociali e forme di devozione religiosa, è dedicato il volume che passa in rassegna gli elementi costitutivi della musica popolare calabrese, dalle modalità di canto alle formazioni strumentali, e ci svela i codici formali ed espressivi di un’originalissima produzione culturale”.

“Forme di canto distribuite in una pluralità di stili locali – aggiungono i due studiosi – , strumenti mutuati dal mondo del lavoro, derivati da oggetti di uso quotidiano, “inventati” dall’ingegno popolare o prodotti da una secolare tradizione artigianale, indicano la complessità di una tradizione musicale dotata anche di un suo specifico repertorio, basato prevalentemente su tarantella, pastorale e canzone”.

Ancora nell’ Aspromonte, il rapporto fra la religiosità popolare e la zampogna ed altri strumenti della tradizione calabrese come l’organetto, si può registrare in occasione della festa della Madonna di Polsi che alle falde del monte Montalto, nel comune di San Luca, si svolge fra agosto e settembre.  In questo territorio, la presenza greca di un culto legato a Demetra è stata attestata dal recente ritrovamento nell’attuale sito dove sorge il santuario di statuette votive, monete, reperti del periodo provenienti da Siracusa, Agrigento, Sibari, a testimonianza che i pellegrini giungevano, già da allora, dalla Sicilia e dalla Calabria. Qui gli antichi abitanti delle colonie greche venivano una volta l’anno per consultare l’oracolo di Pule; “Pule” nel greco antico significa passaggio, battente di porta, porta. Il Pulakos è il custode della porta del  regno degli dei. A Polsi si arrivava non solo per interrogare l’oracolo, ma anche per dirimere le controversie tra le diverse tribù, per spartirsi il territorio, stringere alleanze e prepararsi a nuove guerre.

Nella giornata e nella notte precedente la festa sono proprio la musica e la danza a farla da padrone.  “Suonatori e danzatori – osserva l’antropologo Sergio Straface – fanno “rota”, delimitando uno spazio circolare in cui una coppia si esibirà in questa danza. La rota è gestita dal “Mastru i ballu” che, di volta in volta, invita gli astanti a ballare, dopodiché interviene congedando il primo con la formula fora u primu per sostituirlo, di seguito, con un altro. L’atmosfera è evidentemente suggestiva, emozionante. E’ l’atmosfera di un rito ispirato a una devozione primordiale che, probabilmente, solo le genti calabresi a Polsi sanno celebrare”. Il collegamento con qualche rito pagano era evidenziato, sino a qualche anno fa, dall’ uccisione uccisione delle capre, poi arrostite sul posto e condivise come pasto, usanza che affondava le sue radici nei sacrifici alle divinità del mondo greco. 

 Se dalla Calabria ci si sposta alla Basilicata, a ridosso del Massiccio del Pollino nella cittadina di Terranova di Pollino alcuni suonatori innamorati alla tradizione popolare hanno dato origine al  progetto “Marasìa”. Lo scopo del progetto è quello di trasmettere la stessa passione, e soprattutto la stessa magia, che la prima volta è stata trasmessa a noi, portando la nostra musica per le scuole, i centri storici, le strade dei comuni, i presepi viventi, i mercatini natalizi, ricevendo in cambio l’emozione dei più piccoli, senza escludere i più grandi, utilizzando questi strumenti arcaici e tradizionali e curando anche il costume tipico degli zampognari.

Il nome Marasia, nasce proprio da una delle nostre numerose visite in terra lucana, terra di zampognari, quando in prossimità del santuario della Madonna del Pollino ci imbattiamo in questo meraviglioso esemplare di coccinella. Suggeritoci dallo stesso Leonardo Riccardi questo piccolo insetto, nel dialetto locale viene proprio chiamato “marasia” ed è inoltre legato ad una filastrocca popolare Lucana: “marasìa… marasà… mbarm a strad c’agg fa” questa filastrocca veniva recitata quando si trovava una coccinella, la si posava sul palmo della mano e una volta spiccata in volo, quella era la direzione da seguire per avere fortuna.

Francesco Rizza

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