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Gian Piero Givigliano
La valle dell’Esaro è attraversata, per un certo tratto, dalla più importante strata romana che si snoda lungo la Calabria: la via Popillia-Annia, nota anche come via Capua Regium perché si distacca dalla via Appia presso l’antica Capua (od. Santa Maria Capua Vetere) e raggiunge Regium dopo 321 miglia/475,5 km. Viene costruita soltanto nella seconda metà del II sec. a.C., sulle tracce di un percorso probabilmente già individuato e sperimentato nel corso della I guerra punica (264-241 a.C.) per raggiungere la Sicilia. L’elenco delle stationes lungo il suo percorso, con le relative distanze in miglia, è riportato su di una iscrizione latina anonima, il Lapis Pollae, rinvenuta presso Polla, che contiene riferimenti storici a Publius Popillius Laenas, console del 132 a.C. Nei pressi di Sant’Onofrio, invece, un cippo miliario reca il nome di Titus Annius. Questi due elementi, quindi, attribuiscono la via a Popillio e ad Annio, pretore del 131 a.C. La via è riportata, con l’aggiunta di altre stationes, anche in tutti i più tardi Itineraria romani.
Dopo Muranum, che è la prima tappa in Calabria presente nel Lapis e poi divenuto negli Itineraria Summurano (dalla forma sub Murano), la via s’inoltra nella vallata del Coscile sino a Piano di Cammarata da dove penetra nella valle dell’Esaro fra il Torrione (la normanna Scribla di Roberto il Guiscardo) a NE e la dorsale collinare tra l’Esaro e il T. Tiro a SO. Passando nella valle del Follone, poi, costeggia diverse aree romane, indizio di ville, soprattutto di II a.C. – II d.C., o di insediamenti rustici:[1] Stazione di Tarsia, Prunetta, Bivio Cimino, Rossillo, San Lorenzo. Il percorso giunge esattamente dopo 21 miglia da Summurano a Casello di San Marco Argentano, che, per questo, potrebbe identificarsi con la statio di Caprasia, presente in tutti gli itineraria romani (Itinerario Antonino, 105; 110), tranne che nel Lapis Pollae. Da qui, la via risale la stretta dorsale che separa la valle del Follone da quella del Crati, seguendo il confine amministrativo sud-occidentale del comune di Tarsia. Si tratta di un’area costellata di insediamenti archeologici di ogni età, dove sono segnalati, pure, in sequenza, diversi insediamenti romani, tutti gravitanti sulla strada.
La valle dell’Esaro, d’altra parte, per l’estensione del suo bacino ed il numero e la portata dei suoi affluenti incide profondamente la Catena Costiera appenninica, soprattutto col suo corso che giunge sino al valico del Passo dello Scalone, e con quello del F. Rosa che arriva al Varco del Palombaro, per cui si può immaginare che dalla via romana si distacchino dei diverticoli che raggiungano delle ville romane come quelle di Larderia e di Cerreto e come dimostrano i resti di Pauciuri, dove, probabilmente, una villa di II a.C. cambia col tempo destinazione d’uso divenendo una statio sul percorso verso ovest prima di affrontare i valichi. Del resto, gli scriptores de re rustica, che teorizzano le varie coltivazioni dei campi e la coltura della vite e dell’olivo, non mancano di rimarcare l’importanza delle vie di comunicazione per smaltire la sovrabbondanza di produzione.
[1] Le ville romane, ad imitazione di modelli cartaginesi e sicelioti, sono, fondamentalmente, strutture di produzione agraria di diversa estensione e con annessi siti di lavorazione. Ad una prima fase (III a.C. – I d.C.) in cui sono delle vere e proprie fattorie più o meno grandi, segue una seconda fase (I – II d.C.) di inglobamento di quelle più piccole e di progressiva monumentalizzazione della struttura principale, fenomeni sempre più vistosi nei secoli successivi nei casi in cui riescono a sopravvivere.
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