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L’anno successivo alla morte del padre, Amerigo, superato l’esame d’ammissione, venne iscritto dal fratello maggiore alla scuola media. Furono tre anni che trascorsero velocemente. Passava i pomeriggi quasi sempre per strada a giocare con gli amici. A volte nel primo pomeriggio stava seduto sul grande sedile di pietra a lato del portone del palazzo di famiglia ad ascoltare i racconti degli anziani sulle trascorse vicende del paese. C’era sempre un vecchietto che narrava a modo suo le avventure di Dante all’Inferno o di Orlando. Storie che chissà come aveva appreso.
A scadenze mensili, arrivava un cantastorie ad illustrare la vita d’antichi eroi e fatti di cronaca. Si sistemava a fianco delle scale della chiesa, sistemava su un trespolo una sorta di grande telo con incollati sopra piccoli ritratti e con una verga indicava, narrandone le vicende, un personaggio. Quando sedeva con gli anziani, apprendeva della vita pubblica del padre. Un grande professionista, di famiglia eminente, sempre disponibile ad occuparsi gratuitamente dei problemi di qualche compaesano privo di risorse. Raccontavano. Un uomo che sia durante la Prima sia durante la Seconda Guerra mondiale, aveva aperto i magazzini del grano e dell’olio per sfamare i rifugiati e la popolazione indigente e che quando aveva ricoperta la carica di sindaco aveva dotato il paese di tutti i servizi.
“Era un grand’uomo tuo padre – dicevano – buono come il pane. Ha dotato il paese della luce, dell’acqua, ha costruito le strade; quand’era sindaco, insieme al barone Giacomo e ad un altro possidente ha fondato l’asilo infantile tenuto dalle monache, ma a finanziarlo poi era solo lui … Ha dato tanti soldi alla chiesa. Un anno ha pure pagato le tasse del barone e di tanti poveri. Era socio di una banca e però firmava lui la garanzia per i contadini che chiedevano un prestito. E quando è fallita per la politica monetaria di Mussolini ha estinto lui i debiti dei contadini che non potevano più pagare. Ha sempre sfamato tanta gente!
“Era proprio un grand’uomo, buono. E in quante cause ha difeso i poveri senza farsi pagare o solo per un pugno di lupini o una piccola pezza di formaggio. Lasciava le olive delle sue proprietà e l’olio ricavato a Peppe, umassaru, per venderseli lui e mantenere così la sua famiglia. Per sé tratteneva giusta la quantità necessaria per la sua famiglia. Quando si è saputo che era morto e che la bara la stavano portando qui, più di mezzo paese è sceso a piedi verso la stazione ferroviaria per andare all’incontro”.
Raccontavano con gesti di approvazione e lo sguardo serio. “Purtroppo, essendo seguace di don Sturzo e di De Gasperi, fu malvisto e ostacolato perfino nella professione prima dai fascisti e poi dai comunisti locali, che addirittura lo minacciarono di morte subito dopo l’armistizio, e fu costretto a starsene prudentemente in disparte, intanto che partecipava, come dire, clandestinamente alla fondazione della DC tra Puglia e Calabria insieme a politici nazionali. La cosa positiva fu che ad ogni subdolo attacco lo difendevamo la stragrande maggioranza della popolazione e le persone riconoscenti dell’uno e dell’altro schieramento”. Amerigo cercava pieno di meraviglia di memorizzare quelle parole. Spesso gli ritornavano in mente come in un sogno la sera quando andava a coricarsi.
Quasi sempre il tardo pomeriggio, verso sera, con i piccoli amici formavamo due bande, una di Greci e una di Troiani, per guerreggiare armate di spade di legno ad imitazione dei personaggi dell’Iliade. Il poema omerico a quel tempo a scuola si studiava quasi per intero e suscitava entusiasmi e schieramenti pro e contro Achille ed Ettore tra i giovani alunni.
Altre volte si sedevano ai gradini di una casa o della chiesa della ruga a parlacchiare e a confidarsi i primi turbamenti erotici. Non sempre. Da alcuni mesi si erano stabiliti nel palazzotto poco più in là della grande casa di Franco alcuni padri Missionari del Sacro Cuore di Gesù, che amavano radunare i ragazzi del rione a giocare nell’androne del palazzotto sotto la guida giocosa di padre Maurizio, il quale, alla fine dei giochi, se li portava in una sala a raccontare loro come una fiaba la vita di Gesù. E prima di lasciarli tornare a casa insegnava sempre sorridente a recitare una preghiera. Amerigo ne era affascinato e lentamente, senza neanche accorgersene, andava nascendo in lui il desiderio di stare sempre in compagnia di quel missionario. A volte, seduti davanti al focolare, raccontava a lui e a Rita qualche episodio della vita del papà lo zio Arnaldo, affettuoso e anziano ospite pomeridiano.
Ma era soprattutto Norina, la sarta e l’aiutante di famiglia, a far trascorrere ai due piccoli fratelli pomeriggi incantati. Mentre stava seduta alla macchina da cucire nel piccolo soggiorno antistante le camere da letto, li intratteneva raccontando fiabe e leggende paesane, che li trasportavano in una dimensione mitica e incantata. Ma erano davvero altri tempi. Alla vendita della casa di Barracco, dopo la divisione delle spoglie – mobili antichi e di gran pregio, grandi lampadari viennesi, salotti in stile imperiale, cristallerie, argenterie e porcellane, soprammobili di valore e gioielli – da parte dei due fratelli più grandi e della sorella più coccolata già accasati, la famiglia era ritornata definitivamente al paese. La madre, anche se la sua presenza premurosa riempiva la casa e scaldava i cuori, era sempre affaccendata in cucina o a rammendare qualche capo di biancheria o a sbrigare una qualche altra incombenza. La strada chiamava. E quando era assente Norina, se costretto a stare in casa da un’estemporanea imposizione fraterna, fatti velocemente e senza interesse i compiti, si metteva a girovagare per le stanze, come a cercare chissà cosa. Ma quando entrava nello studio veniva assalito dal malinconico ricordo del papà e se ne stava mogio mogio seduto soprappensiero su una poltrona.
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