La raccolta delle olive nelle pagine di Fortunato Seminara.

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Col nome di “Costa Viola” si identifica un’area della provincia di Reggio Calabria sul Tirreno meridionale sino alla Piana di Gioia Tauro. Nei suo circa 35 chilometri sono compresi i comuni di Palmi, Bagnara, Scilla e Villa San Giovanni. Come è possibile rendersi contro dalla strada provinciale si tratta di una zona fra le più panoramiche della Calabria. Fra le sue colture le principali sono quelle dei vitigni e degli oliveti che, a livello di estensione, “esplodono” nella Piana di Gioia. Pure in questo territorio, un tempo, la raccolta delle olive partiva dalla fine di ottobre durava sino a gennaio inoltrato, era nella società calabrese contadina una fonte di reddito particolarmente fra le donne, fra novembre e gennaio; sino a qualche decennio fa’ sino a marzo.

 Per descrivere quel vero e proprio rito, ci affidiamo ad un racconto di Fortunato Seminara, cvoce fra le più note del Novecento calabrese. Lo stesso Scrittore, nato a Maròpati nell’ agosto del 1903, pur avendo trascorso gran parte della propria vita in Toscana fin dal tempo degli studi universitari culminati nella laurea in giurisprudenza, rimase legatissimo alla sua terra natale che descrisse nei suoi romanzi, ma anche in vari rotocalchi e giornali del tempo. Proprio al mondo delle olive, ma anche alle condizioni dell’agricoltura calabrese nel secondo dopoguerra Fortunato Seminara dedicò “Il Vento dell’Oliveto” edito nel 1951 nella collana “I Gettoni” della Enaudi diretta da Elio Vittorini che nelle pagine dello scrittore calabrese scrisse di aver trovato “un senso dell’universale che il tono sommesso e impreziosito rafforza invece di attenuare.

 E’ il dramma psicologico e non solo di un proprietario terriero, tutto raccolto in un mutismo interiore. Rappresenta una società chiusa, fatta di regole assurde e ch non vuole o non riesce a capire il suo tempo con le sue novità”. “L’oliveto – osserva Seminra ne “Oliveti di Calabria” inserito in “Terra di Calabria. Annuario di Vita Regionale” della “Pellegrini Editore nel 1964 – suggerice ide di architettura, un’architettura non di pietra e calcina, o cemento, ma di tonchi, di rami e di foglie, semplice e severa, in cui si manifesta l’inimitabile arte della natura; suggerisce idee di portare alla luce un mondo poetico d’insospettata fertilità; tuttavia la sua realtà rimane terrestre e pratica, sono quei neri chicchi, numerosi e minuti come grandine, che bisogna raccattare da terra a uon a uno con le mani. La raccolta delle olive – racconta Seminara – che è opera esclusivamente di donne, comincia di solito di novembre, se la caduta non anticipa per particolari condizioni atmosferiche e per malattia del frutto e dura fino a primavera; in questo periodo si raggiunge davvero la piena occupazione della manodopera femminile”.

Venendo alla descrizione del lavoro vero e proprio, Seminara osserva che “gli oliveti a volta circondano i paesi come un mare che minaccia di sommergerli, ma la maggior parte sono lontani dai centri abitati, e le donne, per raggiungerli, devono percorrere a piedi parecchi chilometri; mattina e sera; perchè mancano mezzi di comunicazione e mancano anche ricoveri adatti sui posti di lavoro”. “Nei grandi oliveti le raccoglitrici si dividono in gruppi, di solito formati da persone della stessa famiglia, a ciascuno dei quali viene distribuito un corbello dato di strisce di legno intrecciate; raccolgono le olive in una borsa di stoffa, che portano legata alla vita, quando le borse sono piene, le vuotano nel corbello. Lavorano chine, o accosciate, che è l’unica posizione di ricambio nella stanchezza, disposte in lunghe righe che avanzano lentamente e ora si spezzano e si ricompongono; e siccome il lavoro è a cottimo, continuano fino a sera senza interruzione e consumano la colazione consistente per la maggior parte in un pezzo di pane e pepreroni”.

 Quale lo stato d’animo delle raccoglitrici? “Da un punto all’altro – osserva lo Scrittore – si rimandano canti, richiami e risa, ma in certi momenti sono silenziose e come schiave. Ci sono anche ragazzi accanto alle madri e alle sorelle maggiori, ma il loro lavoro è irregolare e stanno a lungo in piedi e distratti, richiamati e sgridati, si affrettano. Nelle giornate fredde si accende un fuoco e ogni tanto le lavoratrici vanno a scaldarsi le mani intirizzite. Si solito donne di fiducia dei proprietari, che per questo servizio percepiscono un supplemento di paga, hanno il compito di sorvegliare ciascuna la propria squadra e misurare le olive raccolte, ma i guardiani del fondo e a colte i padroni stessi sorvegliono le raccoglitrici e le sorveglianti”. “Una vota le olive venivano trasportate ai frantoi dalle stesse raccoglitrici con un sacco sul capo alla fine della giornata di lavoro e da carri lenti e pesanti per le grandi stanze; ora i carri sono stati sostiuiti da camioncini e piccoli mezzi a motore che saettano per le strade provinciali, facendo la spola tra gli oliveti e i frantoi”.

Francesco Rizza

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