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L’area della “Riviera dei Cedri” è collocata su 80 chilometri sull’alto Tirreno calabrese fra Tortora e Paola includendo anche varie zone montane sulle pendici dell’ Orsomorso. A denominare il territorio quella coltivazione del cedro che secondo la Bibbia è “il frutto dell’albero più bello” e proprio in questo lembo di Calabria ha trovato il proprio habitat naturale. Fra i 22 Comuni dell’area, 15 sono sulla Costa e sono Tortora, Praia a Mare, San Nicola Arcella, Scalea, Santa Maria del Cedro, Grisolia, Diamante, Belvedere Marittimo, Sangineto, Bonifati, Cetraro, Acquappresa, Guardia Piemontese, Fuscaldo e Paola.
Con la legge regionale n°9 del 2008, fra i comini di Praia a Mare, Diamante e Acquappesa, è stato istituito il Parco Marino Regionale “Riviera dei Cedri” che si estende lungo un tratto di costa fra i più suggestivi della Calabria ed interessa un’area di notevole pregio paesaggistico. Sono ricomprese nel Parco l’Isola Dino nel comune di Praia a Mare e Isola di Cirella nel comune di Diamante, lo “Scoglio della Regina” di Acquappesa ed i fondali marini dell’isola di Dino di Capo Scalea e dell’Isola di Cirella.
Studi in campo botanico hanno messo in evidenza il notevole valore naturalistico della zona, essendo stata riscontrata la presenza di specie di particolare importanza, non comuni per un territorio come la Calabria e, manifestamente, in pericolo. Altri sette Comuni dell’area sono invece, spostati verso l’Entroterra sino al Parco Nazionale del Pollino, per estensione la maggiore riserva naturalistica italiana, e sono Aieta che è uno dei “Borghi calabresi più belli d’Italia”, Santa Domenica Talao, Papasidero, Orsomorso, Verbicaro, Maierà e Buonvicino.
Lo scrittore americano Francis Marion Crawford autore fra l’Otto ed il Novecento di capolavori dell’horror, s’innamorò perdutamente di questo territorio non solo fino ad ambientarvi alcuni racconti, ma di farne il proprio ritiro estivo preferito. Se si lascia la Costa in cui spiagge si alternano a scogliere fra romantiche grotte e callette spettacolari, altrettanto affascinante è il suo Entroterra antropizzato da millenni. Tracce archeologiche risalenti alla Preistoria, oltre che nella“Grotta del Romito” a Papasidero sono state trovate nelle grotte marine della Madonna e della “Torre Talao”nel comune di Scalea. Capitale religiosa della“Riviera dei Cedri” è senza dubbio il santuario paolano di San Francesco da Paola cui si sommano altri affascinanti santuari come quello della Madonna di Costantinopoli a Papasidero e della Madonna della Grotta a Praia A Mare. Le feste religiose, con affascinanti processioni sulla Costa ma anche in mare si svolgono principalmente d’estate radunando fedeli e turisti in un tripudio di luci, sapori e colori.
A caratterizzare il periodo natalizio nel territorio della “Riviera dei Cedri”dal punto di vista gastronomico la produzione di un gustosissimo dolce: i “Panicelli di Uva Passa e Cedro”. Il periodo della produzione di questo dolce è collegato anche al fatto che fra novembre a gennaio, dopo la raccolta del frutto, si raccolgono anche le foglie dei Cedri. L’antropologo Sergio Straface, nel proprio portale ce ne spiega la preparazione. Mentre si puliscono accuratamente le foglie di cedro, si taglia la buccia del frutto in piccoli pezzi per mescolarli di seguito con l’uva passa all’interno di una scodella realizzando il riempimento dei panicelli di uva passa e cedro. I pezzi di buccia di cedro serviranno a conferire all’uva passa un particolare aroma rilasciandone i suoi oli essenziali durante la successiva cottura al forno a legna. A questo punto le foglie di cedro vengono affiancate e sovrapposte. Al centro sarà collocata una porzione di uva passa e pezzetti di buccia di cedro, quindi si chiude il fagottino legandolo con fili di ginestra, fagottino che sarà infornato nel forno a legna.
L’uva impiegata per la realizzazione tradizionale dei panicelli di uva passa e cedro è quella di uno dei principali vitigni di uve bianche di questa zona, il vitigno duraca. Si tratta di un vitigno di origine greca, qui particolarmente apprezzato per l’uva dolce e perché si conserva a lungo, oggi ne rimangono pochissime piante così è possibile impiegare anche uve di altri vitigni locali. In ogni modo, l’uva raccolta in grappoli viene legata con lo spago fino a formare lunghi “filari”. Un terzo ingrediente per la produzione del “Pannicelli” è la “Lisciva”. Ci facciamo spiegare direttamente da Sergio Straface cos’è e come viene utilizzata per aromatizzare il ghiotto dolce. “La liscivia è una soluzione di acqua e cenere ottenuta a seguito della bruciatura di piante spontanee come il cisto marino, il mirto e il lentisco.
Qui ogni elemento ha la sua funzione così, il cisto marino è impiegato perché particolarmente aromatico e profumato, il mirto invece per le sue qualità antisettiche e antinfiammatorie. Infine, il lentisco per le sue proprietà antibatteriche e antiossidanti. Si tratta di piante tipiche della macchia mediterranea che colorano la Riviera dei Cedri, raccolte in primavera e bruciate ancora verdi per ottenere la cenere che servirà per la preparazione della liscivia. La cenere così ottenuta viene di seguito messa in un particolare forno di pietra lungo e stretto, qui detto “furnieddhu”. Ma prima ancora, sul fondo del “furnieddhu” vengono sistemati alcuni bastoncini di legno che faranno da filtro, e sopra i bastoncini fascetti ancora verdi di pulicaria o inula viscosa. Si tratta di una pianta molto profumata che contiene principi attivi e oli essenziali con proprietà antibatteriche, antiossidanti e balsamiche.
Sopra la “Pulicaria”sarà inserita la cenere ancora calda fino a riempire il forno. A questo punto, si otterrà la liscivia facendo scorrere nel forno un getto d’acqua corrente che uscirà da un cannello applicato sulla base del furnieddhu e che sarà lasciata riposare in una brocca di terracotta. La liscivia viene quindi versata in una caddara o cavudara, una pentola di rame e zinco posta sopra il fuoco e quando la liscivia bolle si procede con l’immersione per qualche minuto dei filari. Quindi i filari saranno lasciati sgocciolare e raffreddare per essere di seguito posizionati su un palo orizzontale dove rimangono a essiccare al sole per diversi giorni”.
Francesco Rizza
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