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Dal portale di promozione turistica “Rossano Purpurea” si apprende che grazie alla fusione dei due Comuni avvenuta il 31 marzo 2018 , la popolazione di Rossano Corigliano è di oltre 77000 abitanti, della provincia di Cosenza, in Calabria, di cui rappresenta uno dei primissimi centri per estensione, abitanti, bellezze e cultura. “Le tracce dei prestigiosi percorsi storici – si aggiunge – le bellezze architettoniche e naturalistiche, la felice posizione tra la montagna e il mare, la piacevolezza del clima mediterraneo, la presenza di numerose e pregevoli strutture ricettive antiche e moderne, il parco acquatico riconosciuto come secondo in Europa, la tradizione della liquirizia e il suo Museo, un paniere enogastronomico gustosissimo e articolato, la suggestione dei borghi storici, la permanenza viva in essi della cultura greca e bizantina, l’imponente Castello e la connaturata ospitalità insita nella gente del posto fanno del turismo una delle principali vocazioni della località”.
Dal punto di vista storico il riconoscimento del Codex Purpureus Rossanensis nel patrimonio universale dell’Unesco ha, inoltre, sigillato e nobilitato questo percorso avviato da anni, e ancora in divenire e ha posto la città, più che mai, sotto i riflettori mondiali. La fertilità del terreno e la sua felice esposizione fanno, invece, dell’agricoltura l’altra grande vocazione della città, con due prodotti storici di punta che sono le “Clementine” e la “Dolce di Rossano” che, rendono inconfondibile e sempre più riconosciuta l’olio prodotto in queste contrade.
Nel Museo diocesano il Codex Purpureus Rossanensis è un evangeliario del VI sec, realizzato probabilmente in uno scriptorium della Siria. È stato portato all’attenzione degli studiosi nel 1879 da due tedeschi, Von Harnack e Von Gebhardt. Qualche anno prima lo scrittore Cesare Malpica, nei suoi racconti di viaggio, lo aveva notato e citato. Si tratta di un manoscritto in pergamena purpurea, composto da 188 fogli, l’intero vangelo di Matteo e quasi tutto quello di Marco, la presenza della miniatura con i ritratti dei quattro evangelisti fa supporre, però, che il testo sacro contenesse anche gli altri. L’Evangeliario presenta 15 illustrazioni miniate della vita di Cristo. Il testo è scritto in caratteri greci onciali o Maiuscola biblica greca, senza segni di punteggiatura, organizzati in due colonne di 20 righe ciascuna per pagina; le prime tre linee di ogni Vangelo sono in oro, le restanti in argento. Il color porpora delle pagine non è stato ricavato da pigmenti provenienti dal Murice, ma, come risulta da recenti studi di restauro, da una pianta, chiamata “oricella”. Altri colori utilizzati sono il blu ricavato dal lapislazzulo, l’indaco, il cinabro ed una particolare lacca ricavata dal sambuco.
Edificato nel XII secolo dopo Cristo. a circa 600 metri di altitudine tra le montagne della Sila Greca, il Patirion di Rossano è un antico romitorio di monaci italo greci sorto grazie alle elargizione dei principi Normanni. E’ stato dedicato dedicato a Santa Maria della Nuova Odigitria, ma la chiesa rimasta oggi è conosciuta col nome di Santa Maria del Patire o semplicemente Patire, nome che deriva dal greco patèr, in segno di devozione al suo padre fondatore San Bartolomeo da Simeri. Dal suo Scriptorium uscirono numerose quanto preziose trascrizioni di codici, alcuni dei quali sono conservati nella Biblioteca Vaticana e nel Museo Diocesano di Rossano. Il monastero del Pathirion fu soppresso dai Francesi nel XIX secolo e i monaci furono costretti ad abbandonarlo. Oggi, purtroppo, rimangono maestosi ruderi che rendono bene l’idea dell’imponenza che ebbe l’antico cenobio.
Fra i tanti Monaci italo greci che vissero nella Sibaritide ed a Rossano, occorre senza dubbio citare Nilo: un santo Monaco che, dopo aver trascorso un periodo della propria vita in un monastero decise di farsi eremita venendo, però, raggiunto da numeroi seguaci che fecero di lui il proprio maestro. Davvero ampia era, fra l’altro, la sua cultura. Anche i discepoli che accettava dovevano essere già maestri di ascesi, studiosi, eccellenti anche in calligrafia e canto. Quando però si accorge di essere ormai una sorta di autorità locale, e che si parla di lui come possibile vescovo, fugge in territorio longobardo, verso il principato di Capua. Qui, per quindici anni, Nilo educa monaci di rito orientale, mantenendo amabili rapporti con i monaci “latini”, i Benedettini di Montecassino, che lo aiutano cordialmente. Successivamente trascorse altri dieci anni presso Gaeta, dove ha offerto ai suoi monaci una sede disagiata e sempre tanto lavoro. Qui vede finire il primo Millennio cristiano. E di qui parte, novantenne, per dare vita a un’altra fondazione: l‘abbazia di Grottaferrata a Roma, che sarà sempre viva e operosa alla fine del secondo Millennio, nella sua linea di preghiera e cultura, con la scuola di paleografia greca, la tipografia, la biblioteca; centro vivo di operosità ecumenica. San Nilo, però, fece solo in tempo a indicarne il luogo e ad ottenerne il terreno, presso la cappella detta Cryptoferrata. Poi si spegne nel vicino monastero greco di Sant’Agata.
Quella della produzione della liquirizia di Rossano è una lunga storia fatta di passione, cultura, impresa e tradizione. Antichi documenti attestano che già intorno al 1500 la famiglia Amarelli commercializzava i rami sotterranei di una pianta che tutt’ora cresce in abbondanza nei suoi latifondi: la liquirizia, dall’allettante nome scientifico di Glycyrrhiza Glabra, cioè radice dolce. Dal portale dell’ azienda Amarelli che da secoli produce la liquirizia di Rossano si apprende che nel 1731, per valorizzare al massimo l’impiego di questo prodotto tipico della costa ionica, gli Amarelli fondarono un impianto proto-industriale, detto “concio”, per l’estrazione del succo dalle radici di questa benefica pianta. Nascono cosi le liquirizie, nere, brillanti, seducenti, gioia dei bambini, ma anche, soprattutto, di adulti che amano i piaceri di una vita sana e naturale.
Francesco Rizza
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