IL DIADEMA DI HERA LACINIA di Roberto Spadea

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IL DIADEMA DI HERA LACINIA di Roberto Spadea.

 Gianni De Simone mi ha offerto, per la prima volta dalla data del suo rinvenimento, l’occasione di raccontare come questa straordinaria scoperta è avvenuta.

Premetto che quasi sempre i grandi rinvenimenti avvengono quando meno te lo aspetti, od anche quando sai che ci saranno, ma non sai né quando né dove, anche se la superficie dell’area di scavo è piccola e perciò con grande tensione te li aspetti…e molte volte non avvengono!

L’edificio di forma rettangolare denominato B, a fianco del grande tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna, aveva già rivelato oggetti importanti, soprattutto in bronzo, con figure mitologiche quali una sfinge, una Gorgone in corsa e una sirena.

Era la mattina della calda estate del mese di luglio 1987. Intorno alle 10.00 il cantiere aveva ripreso il ritmo consueto dopo la pausa per la colazione. Le squadre di due uomini erano ben divise. Per solito avevo aiuto da Giuseppe Sgrò, mio amico e collaboratore di Reggio Calabria, con l’altro indimenticabile amico Renato Amodeo, responsabile dei rilievi. Ma più di ogni altro potevo contare su un capo operaio di finissimo intuito e valore, Enrico Maiolo con il quale lavoravo da molti anni. Alla ripresa del lavoro mi ero allontanato qualche minuto dal cantiere e, rientrando, Enrico mi chiamò per farmi vedere una “cosa strana”. Stava lavorando di “fino” (usando la punta di una speciale cazzuola a forma romboidale detta “trowl”, inventata in Inghilterra per gli scavi archeologici) vicino ad un piccolo cippo in pietra di forma tronco piramidale (horos in greco) che è segno del limite di un’area sacra. Scavando vicino al cippetto erano emerse delle palline dorate come avvolte nella carta degli cioccolatini. Era uso nei cantieri di scavo fare scherzi con uso di carte stagnole argentate o dorate, per richiamare l’attenzione soprattutto degli archeologi su eccezionali ritrovamenti soprattutto di monete che risultavano essere clamorose “bufale” con generali risate, per cui dissi a Enrico di lasciar stare pensando allo scherzo, ma lui giustamente insistette ostinato e mi costrinse a guardare da vicino. Piano piano, scavando poco alla volta con bisturi e punta di “trowl”, l’oggetto rivelò la sua forma: era una corona in lamina d’oro che mi parve subito essere arcaica (seconda metà del VI sec.a.C.) Enrico, me presente, lavorò fino a tardi per liberare dall’argilla i delicatissimi serti di foglie, ma alla fine … …l’articolo completo si può trovare sulla Rivista n°28 – Speciale Costa dei Saraceni

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