I calanchi del Marchesato, Pier Paolo Pasolini, il Crocefisso ed il pane di Cutro.

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Tra il Capo Lacinio e l’Entroterra presilano fra i Comuni e Roccabernarda il panorama del Marchesato crotonese è dominato da un susseguirsi di calanchi. Quelli che potrebbero sembrare brulli ammassi di terra dove, fra novembre e luglio viene coltivato prevalentemente il  grano, rappresentano un vero e proprio tesoro geologico.   La morfologia del luogo, infatti, è il prodotto di una serie di eventi deposizionali ed erosivi che vanno da cinque milioni di anni fa fino ad oggi. Ed in particolare c’è un luogo, noto come “Geosito di Vrica”, praticamente unico nel suo genere in tutto il mondo. Si tratta di uun sito geologico che il mondo scientifico internazionale conosce e apprezza come stratotipo del passaggio dal Pliocene  al Pleistocene.                                                                       

 Percorrendo l’aspro sentiero che attraversa questi calanchi,  un occhio attento e sapiente riesce a cogliere ciò che per tanti anni gli esperti di tutto il mondo hanno studiato, vale a dire gli antichi sedimenti “costituiti da argille marnose siltose grigie-azzurre ricche di   che si sono depositate nel Pliocene tra 400 e 800 m di profondità e passano verso l’alto a biocalcareniti   del Pleistocene”. Ad Innamorarsi di questo scenario Pier Paolo Pasolini che, nel 1964, vi girò alcune scene de “Il Vangelo Secondo Matteo”.

 “Ecco, a un distendersi delle dune gialle – scrisse il regista friulano nel reportage “La Lunga Strada di Sabbia”  – in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina ma è un luogo che di più  mi impressiona di tutto il lungo viaggio. E’, veramente, il paese dei banditi  come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello”.  

“Banditi”,   spiegherà lo Scrittore friulano, era termine utilizzato nell’eccezione filologica di “esiliati” e messi fuori dalla società come erano e continuarono ad essere lungamente  i contadini calabresi.  Ciò nonostante,  per essere stato pubblicato nel corso di una campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale cutrese, il reportage di Pasolini subì un esposto dall’uscente Amministrazione comunale democristiana che, dopo essere descritta da varie testate nazionali,  il 26 aprile del 1962, sarà ritirato dalla nuova maggioranza comunale.

La città di Cutro, nel Convento dei Francescani Minori, ospita un monumento nazionale: il famoso Crocefisso opera di frà Umile da Petralia che a detta degli storici fu scolpito intorno al 1626 venendo dichiarato “monumento nazionale” nel 1940. Il cenobio cutrese, a detta dello storico francescano frate Primaldo Coco, fu costruito sui resti di un antico monastero probabilmente basiliano; essendo superiore della custodia minorica di Cosenza il cutrese fr. Giacomo da Cutro. Nel  Crocefisso cutrese è, principalmente, il volto ad affascinare i fedeli per le sue fattezze.  A seconda dall’angolazione dalla quale viene ammirato, infatti, sembra che ne cambino le espressioni dello sguardo, dal sorriso alla sofferenza della morte. “Quannu m’ha vidutu – avrebbe chiesto  lo stesso Cristo nel corso di un suo momento di estasi – ka tantu piatusu m’ha faciutu?”.                      

 Come racconta uno scritto di Antonio Piterà, primicerio della Collegiata, la prima festa settennale avvenne nel 1861. Nel 1860, infatti,  il Crocefisso era stato portato in processione della popolazione che , chiedeva il miracolo della pioggia dopo una lunga siccità. Nel primo dei due giorni di festa, il Crocifisso viene calato dalla teca posta sull’altare maggiore.  Il giorno successivo, il Crocefisso viene portato in processione nella cittadina incontrando, nei pressi della chiesa di san Rocco, le statue della Vergine, di san Giuseppe e San Giuliano che si aggiungono processione. Secondo la devozione popolare è come se con questa processione, anche i Santi sentono la necessità di seguire il Crocefisso nella consapevolezza che, senza la morte e la resurrezione di Cristo, come scrisse san Paolo apostolo “vana sarebbe la nostra fede”. 

In un territorio che fu definito lungamente, insieme al  Tavoliere delle Puglie  “Granaio d’Italia” grazie alla coltivazione del grano duro “Carapelli”, il prodotto più noto è senza dubbio il “Pane di Cutro” esportato anche nel Nord d’Italia.  Una variazione della stessa ricetta prevede l’inserimento, fra la farina di grano una percentuale di farina di segale.

Francesco Rizza

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