Giuseppe Marino: “Il fucile che non seppe sparare”.

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Il vecchio zio Nicola, dando fondo ai suoi risparmi, aveva comprato un fucile nuovo, fiammante, con le canne luccicanti, il calcio in legno pregiato e una elegante cinghia in cuoio lavorato. L’arma era davvero bella, una vera magnificenza e il vecchio cacciatore non vedeva l’ora di provarla su qualche povera preda.


La notte ebbe il sonno agitato come se vaneggiasse per la febbre. Sognò lepri, fagiani, quaglie, pernici, starne che non aspettavano altro che farsi impallinare dal suo fucile. Al mattino, prima ancora che spuntasse il sole, si mise il suo gioiellino a tracolla, si legò la giberna ai fianchi e si avviò verso la brughiera. Giunto ai margini della radura, caricò l’arma e prese ad avanzare con circospezione. Ad un tratto vide una lepre a pochi metri di distanza. Zio Nicola prese la mira e fece fuoco. Pum, fece il fucile, mentre uno sciame di coriandoli fuoriuscì dalle canne e prese a volteggiare nell’aria.

La lepre rimase lì a guardarlo quasi divertita. Zio Nicola non riusciva a spiegarsi questo strano fenomeno. Intanto decine di allodole, incuriosite dal luccichio di quei pezzetti di carta colorata, si avvicinarono per osservare lo spettacolo. Alcune si posarono addirittura sul cranio pelato del vecchio lasciandoci anche qualche simpatico ricordino.


Zio Nicola le cacciò via bestemmiando, poi si grattò la zucca nel vano tentativo di capirci qualcosa e concluse che, evidentemente, la cartuccia era stata caricata male. Allora aprì il fucile, estrasse il bossolo vuoto e vi introdusse una nuova cartuccia. Mentre camminava per la brughiera, uno stormo di tordi si levò all’improvviso in volo da un cespuglio di mirto. Il vecchio prese lestamente la mira e sparò, ma, anche questa volta, ebbe una sgradita sorpresa. Dalle canne del fucile, invece che piombo caldo uscirono migliaia e migliaia di petali di rose che, per un po’, oscurarono il sole. Un profumo intenso inebriò gli uccelli che svolazzavano di qua e di là mentre il povero zio Nicola, sempre più perplesso, girava e rigirava l’arma tra le mani senza capirci un tubo.

Sempre più inferocito estrasse di nuovo il bossolo vuoto e introdusse una nuova cartuccia, poi riprese ad avanzare. Arrivato alla svolta del sentiero vide davanti a sé una magnifica volpe. “Questa non mi sfuggirà!”, pensò. Prese accuratamente la mira e tirò il grilletto. Ploff, fece il fucile mentre una infinità di bolle di sapone al profumo di cocco che uscivano dalle canne di quella magica arma si librò nell’aria. I raggi del sole, rifrangendosi attraverso quelle palline trasparenti, diedero origine ad un fantasmagorico arcobaleno che si stagliò nel cielo turchino. A quello spettacolo meraviglioso, gli uccelli presero a cinguettare più forte, le cicale si unirono al coro più allegre che mai, i grilli fecero sentire il loro gioioso cri-cri; perfino le corolle dei papaveri, delle calendule, delle violette, mosse da un dolce zeffiro, presero a ondeggiare lietamente.


Zio Nicola, con la mente ottenebrata dall’ira, non se ne avvide, scaraventò il fucile in una scarpata e si allontanò bestemmiando. L’arma rotolò, rimbalzò, si fermò a ridosso di un sasso, poi riesplose eruttando, ancora una volta, petali di rosa. E mentre il profumo intenso si spandeva nell’aria, da quelle magiche canne uscirono dapprima sommesse, poi sempre più chiare, le bellissime note dell’Inno alla gioia mentre la natura tutta partecipava alla straordinaria festa.

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