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Fondata da Coloni greci intorno al 580 avanti Critsto, la città siciliana di Agrigento ha un ampio territorio oggi abitato da circa 60 mila abitanti. Dagli antichi ed autoctoni Siculi ai Cartaginesi ed ai Greci, furono numerosi i popoli che nel corso dei millenni vissero nel suo territorio, noto particolarmente per la Valle dei Templi patrimonio dell’Unesco. Figlio autorevole di questa città, vissuto fra il 1867 ed il 1936, Luigi Pirandello fu drammaturgo, scrittore e poeta fra i più noti della Letteratura italiana novecentesca e, cosa poco nota, appassionato filologo che nei propri studi intitolò la propria tesi di laurea “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto di Girgenti”. La laurea, conseguita dallo Scrittore girgenntino a Bonn in Germania al termine di tumultuosi studi universitari iniziati a Palermo e continuati a Roma, come si può eccepire da alcune opere pirandelliane quella per la filologia fu una passione che accompagnò lo stesso Scrittore per l’intera sua vita.
“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose – ammette uno dei personaggi della commedia “Sei personaggi in cerca d’ autore” – ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose che sono dentro me, mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e il valore che hanno per sé del mondo che egli ha dentro? Crediamo di intenderci, ma non ci intendiamo mai”. Ancora In “Sei Personaggi in Cerca d’Autore”, dove uno dei suoi personaggi osserva come “abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose!”. E’ facile, dunque, intuire che nelle idealità pirandelliana la necessità di una comunicazione la più certa possibile era vista dallo stesso Pirandello come uno strumento indispensabile per sconfiggere quelle insicurezze che, inevitabilmente, sorgono in chi è chiamato a confrontarsi quotidianamente con una pluralità di maschere e personaggi doppi.
La tesi di laurea pirandelliana dopo una prima pubblicazione del 1904 quando fu accolta benevolmente dalla critica ed una seconda pubblicazione a cura del Centro Nazionale di Studi Pirandelliani di Agrigento, era ormai introvabile sul mercato quando, nel 2015 ,mi è stato possibile curarne una riedizione nella collana pirandelliana della società editoriale “Montecovello”.
Quali le motivazioni di tale attenzione pirandelliana verso una disciplina scientifica talmente scientifica? A nostro parere, una spiegazione psicologica potrebbe venire dalla considerazione filosofica dello stesso scrittore sulla vita del mondo. Dal punto di vista filosofico ed in antitesi al Positivismo imperante, partendo da una concezione della vita che era già stata affrontata da Henrì Bergson, Luigi Pirandello ritiene che la storia di ciascun uomo sia caratterizzata da un movimento perpetuo e continuo che, quasi un flusso di magma, è in perenne trasformazione e movimento. Lo stesso uomo, per lo Scrittore agrigentino, tende originariamente a fissare la propria forma individuale in una personalità unitaria che, però, unitaria è solo apparentemente. “Io – ammette Pirandello in una pagina autobiografia – sono figlio del Caos e non solo allegoricamente, ma ingiusta realtà, perché sono nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Cavusu dagli abitanti di Girgento, corruzione dialettale del gerundino e antico vocabolo greco Kaos”.
Quali le specificità della lingua siciliana al centro degli studi di Luigi Pirandello? ancora oggi, la Sicilia conserva le tracce delle numerose popolazioni che, in un modo o nell’altro, ebbero a che fare con la più meridionale delle Regioni italiane.
Come osserva Carlo Tagliavini ne “Le Origini delle Lingue Neo Latine” la Sicilia risulta divisa, fra l’area “Levantina” in cui abitarono i Siculi ed in quella “Ponentina” in cui abitarono i Sicani. Intorno a queste popolazioni probabilmente autoctone una pluralità di altre popolazioni che, inevitabilmente, lasciarono proprie tracce nella lingua siciliana e nello studio di Luigi Pirandello.
“La lingua dei Siculi – osserva lo Studioso – di cui abbiamo qualche iscrizione, poche glosse ed alcuni nomi personali e locali, ha carattere indeuropeo ed anche probabilmente italico; i Sicani avrebbero, per alcuni, la medesima origine nonostante una tradizione li faccia venire dall’ Iberia e la loro lingua abbia carattere non indoeuropeo. Anche i Liguri sarebbero venuti insieme ai Siculi in Sicilia in epoca antichissima, ma le tracce di sostrato, dovute a queste antichissime popolazioni sarebbero assai scarse”. Nel corso dei secoli, dal punto di vista storico letteraria, la lingua siciliana ebbe una propria notorietà fin dal 1230 quando nella Corte palermitana di Federico II di Svevia nacque la “Scuola Poetica Siciliana” citata da Dante Alighieri nella propria “De Vulgari Eloquientia”.
Fu proprio il Vate fiorentino ad attribuire appunto ai poeti siciliani il titolo di padri e pionieri della Letteratura volgare italiana. Fra i più noti poeti di questa stessa scuola non si può fare a meno di ricordare Cielo D’Alcamo il noto giullare autore della notissima “Rosa Fresca Aulentissima” e Giacomo da Lentini ritenuto l’inventore del sonetto. Col trascorrere degli anni, la lingua poetica siciliana si diffuse anche nell’ Italia centro settentrionale e particolarmente in Toscana dove, dal connubio fra alcuni poeti siculi toscani, nacque la scuola del “Dolce stil novo” da cui nacque quel volgare italiano che diverrà nei secoli la lingua italiana. In questo processo di nazionalizzazione, però, se il dialetto toscano finì con l’assumere una tale notorietà che anche Alessandro Manzoni per realizzare i propri capolavori sentì la necessità di andare a “sciacquare i panni in Arno” il dialetto siciliano ritornò ad essere una semplice varietà dialettale italiana.
Francesco Rizza
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