SAN GIOVANNI INFIORE: IL 29 MAGGIO SI CELEBRAVA LA FESTA LITURGICA DI GIOACCHINO DA FIORE

Ultime notizie
Roggiano Gravina, ridente comunità al centro della Valle dell’Esaro, conta più di 7.300 abitanti. La
sua attuale posizione geografica la rende il crocevia naturale verso le grandi città della Calabria Citra.
I suoi natali risultano essere nobilissimi; essa infatti sembra essere la florida Vergae (da Ver e gens,
letteralmente gente del borgo). Terra nota allo storico romano Tito Livio per essersi “ignobilmente”
schierata più volte contro i romani. Il nome ha subito, nei secoli evidenti cambiamenti; divenendo da
“Vergianum” in “Rubiniamin” (Terra Rugiani), “Rugliano” infine in Rogiano (terra dei Rugi). Per
avere la denominazione attuale bisogna risalire fino al 1864, quando il Sindaco del tempo, Federico
balsano (fratello del più noto Ferdinando, scrittore, poeta, sacerdote filosofo e deputato al
Parlamento italiano) volle omaggiare il suo più illustre concittadino: Gian Vincenzo Gravina,
aggiungendo il cognome dello stesso al nome della cittadina. La seconda “R”, invece, si presume
essere un errore nella trascrizione dei documenti successivi. L’omaggio al giureconsulto cittadino
avvenne per festeggiare i duecento anni della sua nascita.
Roggiano Gravina è un paese con una storia ricchissima, figlia della dominazione dei Goti,
Longobardi, dei Normanni, degli Angioini, degli Aragonesi. Tutte popolazioni che lasciarono le loro
tracce. Il cuore della Valle dell’Esaro, come viene denominata Roggiano Gravina, è nota per il suo
centro storico, per la villa romana e soprattutto per il suo simbolo cittadino: la torre (di origine
aragonese) che sorreggeva la porta d’ingresso principale al paese, dove fu posto in epoca successiva
un orologio.
Un centro storico, purtroppo, non valorizzato ma anzi deturpato più volte dalle varie
amministrazioni che dal 1964, fino ai giorni nostri, non hanno saputo trovare il modo di evidenziarne
la meraviglia e soprattutto la sua immensa storia.
La figura che campeggia con orgoglio nel cuore dei roggianesi è quella del suo più illustre figlio,
quel Gian Vincenzo Gravina che nacque in questo piccolo borgo, per poi volare verso quella gloria
che i più grandi giuristi, filosofi e letterati del tempo e non gli riconoscono ancora oggi. Un
personaggio che campeggiò tra i grandi personaggi roggianesi: Ferdinando Balsano, Padre Tommaso
Cerzito, Vittorio Caravelli, Ferruccio Incutti, Angelo Mazza, Francesco Ettore, Mario Battendieri,
tutti illustri latinisti e letterati.
Il Gravina frequentò, in età infantile, la scuola di Gregorio Caloprese a Scalea il cui indirizzo
cartesiano fu di grande stimolo nella sua formazione culturale, venendo a contatto con le teorie di
Descartes, P. Gassendi, B. Telesio, F. Patrizi, studiò i classici latini e le opere di Dante, Petrarca,
Ariosto, Tasso. Il grande dinamismo culturale del filosofo roggianese, portò il suo tutore, Gregorio
Caloprese, a consigliargli di trasferirsi a Napoli nel 1680.
Nella capitale del Regno il Gravina frequentò un ambiente culturale molto proficuo tanto da
appassionarsi allo studio delle teorie atomistiche e storico/ filosofiche libertine. Ivi frequentò la scuola
di Serafino Biscardi che lo iniziò agli studi giuridici, assimilando l’esegesi dei testi classici della
disciplina unita alla pratica forense. Il Nostro, mostrando una forte personalità e maturità culturale,
avvertì la necessità di approfondire tali studi con la storia, la presenza dell’umanista Gregorio
Messere, invece, lo portò ad approfondire gli studi umanistici. Lo studio della storia, del Diritto e gli
studi umanistici stessi, portarono il Gravina ad essere uno degli intellettuali del tempo più impegnati
a risolvere i difficili problemi dell’Italia del diciassettesimo secolo, mostrando un acuto realismo
socio- politico. Il giureconsulto calabrese, prima di altri grandi pensatori italiani ed europei, riuscì ad
intercettare il mutamento culturale e politico del tempo, tirandosi fuori dalla dicotomica culturale
platonico – aristotelica, senza mai rinnegarla.
La nuova visione epistemologica del Gravina fu dovuta ad un superamento della filosofia
cartesiana, quindi di una mera visione razionale e meccanicistica della realtà e ad un avvicinamento
a quella spinoziana, figlia di un razionalismo che considerava mente e corpo come un’unica sostanza.
Tale cambiamento non è solo una nuova visione epistemologica, ma si assiste ad un sostanziale
cambiamento dell’asse di indagine e di ricerca per il giusnaturalista roggianese; la nuova dimensione
diviene quella civile, morale e antropologica.
Lo spirito battagliero e innovatore non lo abbandonarono neanche quando nel 1689 si trasferì a
Roma per seguire l’arcivescovo Francesco Pignatelli. Il dinamismo culturale lo porterà ad essere uno
dei fondatori dell’Arcadia insieme a Giovanni Mario Crescimbeni e Paolo Coardi, il cui nome fu
scelto in onore della regione greca emblema di ruralità, cultura e serenità di spirito. Le sue colonne
epistemologiche erano decisamente anti- barocche e miravano ad un rinnovamento basato sulla
razionalità e sullo studio dei classici.
La filosofia del pensatore roggianese, in virtù della nuova prospettiva, inerisce inevitabilmente ad
una dimensione introspettiva figlia dello stoicismo romano, che fecero emergere, nell’animo del
Gravina, la figura dell’intellettuale come pedagogo, che assume su di sé il compito di guidare il volgo
illetterato verso il giusto orientamento civico – politico.
Una disamina così rivoluzionaria della cultura non poté lasciare in disparte il mondo della
Giurisprudenza. Quest’ultima era da considerarsi come la compenetrazione della teoria con la pratica,
compenetrando in esse anche le molteplici variazioni storico- sociali. Era lontano, nel pensiero del
Gravina, il pensiero che la giurisprudenza fosse una scienza esclusivamente empirica e pratica, essa
era intimamente unita con la sensibilità del pensiero umano e non escludibile dalle variazioni storiche.
Il diritto divenne interpretato in relazione ai vari momenti storici, figlio di un’indagine precisa sulle
caratteristiche proprie della giurisprudenza, cogliendo una dimensione interdisciplinare; in questa
concezione abbiamo un avvicinamento del filosofo roggianese con i pensatori Ugo Grozio e Jacque
Cujas.
Il pensatore della Calabria Citra teorizzò che le società sorgessero dalla stipula di un contratto
sociale stabilito tramite consensus gentium che impongo sia ai governanti che ai governati, il rispetto
alla legge del contratto. Tale stipula è dettato da una innata presenza del Diritto nell’animus umano,
in quanto dono del divino. Il passaggio dallo stato di natura alla società civile, secondo il Gravina è
dovuto solo ad una mera utilità della nascente comunità.
Il Gravina, in questo modo, perviene ad un ordinamento giuridico che ha una sua ratio in base alla
storia del popolo che lo produce, nel tempo che esso vive. La Legge non è più, dunque, un mero
comando, una coercizione, un imperativo, ma costituisce il collante, l’anima che tiene unite le società
e quindi gli uomini. Leggi, che nelle società più evolute, non possono concentrarsi nelle mani di una
sola persona, ma che devono dividersi in compiti e istituzioni atte a cogliere il cambiamento dei tempi,
dei popoli e quindi proteggerle. Il Nostro distinse il potere legale con l’arbitrio del potere, potenziando
il ceto medio che fungerà da equilibratore al potere del sovrano e anzi, in caso di eccessi di
quest’ultimo assumerà anche l’autorità di depotenziarlo. Non possiamo definire come democratica
la concezione dello Stato del Gravina, che in questo si differenzia dal filosofo francese Montesquieu,
ma piuttosto sarebbe paragonabile alla politeia aristotelica, ossia un misto fra oligarchia e democrazia.
Le riflessioni sul pensatore roggianese sarebbero molte, un percussore dei tempi, un innovatore,
uno studioso. Un uomo che anticipò molte teorie politiche, un peso massimo della cultura del tempo,
purtroppo dimenticato dalle generazioni successive.
© 2020, Il Calabrone - News Magazine. Tutti i diritti riservati. P.Iva:IT01884870799 | Privacy Policy | Cookie Policy