Enzo Vigo: “Un biglietto di andata e ritorno”. Quarta ed ultima puntata: “se vado, resto fermo anche andando”.

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su whatsapp

11 OTTOBRE  – Con te no, questa volta le parole non le ho cercate: erano già scritte nei battiti del tuo cuore…no…non nel numero dei battiti, quelli sono più o meno uguali per tutti ma è che il cuore di una donna batte in modo diverso da quello di un uomo, in un modo che un uomo non può capire. Da quel poco (o nulla) che ho forse capito posso e vorrei dirti solo che nel mondo che ti attende, l’irriconoscenza, la cattiveria gratuita, l’invidia, la perfidia, la mancanza di umiltà, spesso le fanno da padrone: non posso negarti che soffrirai e, da donna, soffrirai di più e ti capiterà, a volte, di non sapere se urlare con il silenzio o con le parole ma la sofferenza dovrà portarti più in alto: volare sopra le miserie umane ma; sempre da quel poco o nulla che finora ho capito, vorrei dirti che il dare disinteressato, la disponibilità verso il tuo prossimo, la generosità, sono forse le uniche armi che hai a disposizione, anche se dovrai prepararti e vaccinarti all’ ingratitudine; queste sono le uniche armi’ che potranno servirti per sperare, lottare, vivere nonostante tutto.

…Anni dopo…… “Mamma mia….! Vi guardo …e vi vedo ancora bambini, non più quei piccoli per i quali i genitori erano tutto, la voce che tutto sapeva e tutto poteva: : è la  tipica deformazione del genitore; non nascondo che non so’ più come trattarvi, non siete più bambini ma neanche adulti: siete ormai, come dicono le definizioni dei manuali, adolescenti; comincia ad affacciarsi in voi il pensiero del futuro, irrompe, impetuosa ed intricata di emozioni aggrovigliate, la ricerca della vostra identità, ossessionati dal fatto che questo riguardi voi, solamente voi e che nessuno potrà mai capirvi; cercate ed esigete la vostra indipendenza, più avanti, lo so’ dovete metaforicamente ‘uccidermi’, come padre e come genitore perché impetuosa, inarrestabile, sofferente ma affascinante, comincia la faticosa ricerca del vostro io più autentico, della vostra preziosa unicità che è e sarà per sempre il vostro più prezioso tesoro. 

Dovrò sforzarmi di riguardarvi con occhi nuovi e diversi, per come voi vi sentite dentro: degli adulti. Anch’io mi sforzerò di viverla come un punto e a capo, come una rinascita. Mi permetto solo di dirvi, senza cadere nel paternalismo predicante, di amare tutto ciò che fate, di non fare le cose solo perché le fanno gli altri, mi permetto di consigliarvi, se potete, di viaggiare, conoscere posti e luoghi nuovi, storie e persone con culture diverse, guardare e vivere ogni cosa sempre con occhi nuovi, anche leggendo si può ‘viaggiare’; solo così un giorno potrete apprezzare ciò che di negativo ma anche di bello e di rigenerante hanno le vostre radici, la terra dove siete nati. Vorrei trasmettervi il piacere della bellezza, quella che accende le vostre emozioni e per questo non basta premere un tasto o cliccare, quella bellezza che non troverete mai fuori di voi, nei modelli di bellezza e appariscenza che oggi vi offrono internet e la televisione, ma quella che riuscirete a trovare dentro di voi. Alla vostra età, spesso, il mondo degli adulti potrà apparivi strano, incomprensibile, perfino assurdo, spesso purtroppo è così, ma ciò che è bene e ciò che è male lo dovete scoprire voi, quasi sempre sulla vostra pelle; e queste, purtroppo o per fortuna, non sono cose trasmissibili.

 Quando avevo la vostra età farfugliavo e balbettavo sempre dentro di me “Quell’incosciente vivere come se non avessi bisogno di nessuno; poi il sentirmi solo ed insicuro ed avere bisogno di qualcuno vicino, anche solo stando in silenzio; il mio cuore e la mia anima che volano, per poi cadere a terra e rialzarsi di nuovo; quell’impressione di avere tutto il mondo nelle mie mani e poi sentirmelo scivolare tra le dita, per poi riacciuffarlo di nuovo; quell’insicurezza nascosta, la difficoltà di dare un nome e ad esprimere le mie emozioni, i miei stati d’animo, le mie paure, le mie gioie, i miei sentimenti; quel bisogno, a volte, di solitudine perché tanto: “nessuno mi capirà mai”, per poi ributtarmi nel gruppo, negli amici, nei compagni di classe, quasi una coperta che mi protegge dal freddo e dall’insicurezza e, col gruppo vivere, a volte (cercando di districarmi a capire qual è il bene e qual è il male, il giusto e l’ingiusto) quel brivido del proibito, dell’ imprevisto, della trasgressione che spesso mi fa sentire grande, un adulto.

 Avvertire, a volte, la scuola come un vocìo, lontano da me, e poi di nuovo il gruppo, per condividere una gioia, un dolore ma, soprattutto, per cercare insieme a loro, la parte più bella e vera di me stesso, incamminandoci insieme in una ‘boscaglia’, con una miriade di intricati sentieri per trovare, finalmente, quello giusto, il mio”. Decisi che avrei ponderato bene se risalire o meno a Milano. Giovanni non disse niente, né mi asseconda, né mi contraria. Mi porge solo un foglio di carta con su scritto qualcosa. “Leggilo” mi dice ” è una cosa che ho scritto io qualche tempo fa, sono sicuro che ti farà piacere leggerla”.

 Apro quel foglio soltanto in treno mentre guardo fuori dal finestrino. All’ inizio del foglio c’era un titolo: “Quel Treno” e poi così proseguiva: “Ogni volta gli stessi sentimenti, le stesse sensazioni che si accavallano, si rincorrono, formano nella tua mente e nella tua anima un groviglio di emozioni che tieni per te. Già, come se fosse facile parlarne, scriverne, come se fosse facile scavalcare se stessi e far finta che non sei tu quello che ogni volta parte e riparte, quello che prende il treno, che prepara la valigia mettendoci dentro la propria storia per sballottarla da una parte all’altra dell’Italia. Come se fosse facile affacciarsi al finestrino del treno e guardare per un’altra volta il mare che fa da sfondo a mani alzate che ti salutano, a visi che hanno accompagnato la tua infanzia, a luoghi dove hai cominciato a respirare ed a comprendere il mondo. E poi il treno parte e tu ti siedi e guardi fuori e ti accorgi che dentro di te qualcosa è stato infranto e tu non sei più lo stesso, sospeso tra passato e futuro, tra desiderio e realtà finché il fischio del treno non ti ruba il sogno per ridarti al presente, ad un presente confuso ed incerto e le tue radici cercano un nuovo rifugio che non hanno ancora trovato. Eppure ogni volta torno al mio paese con lo stesso entusiasmo, con la stessa valigia vuota, carica solo di voglia di ritrovare i luoghi della mia memoria, i segmenti nascosti della mia identità. Non è un viaggio attraverso l’Italia ma attraverso il tempo, torni lì e trovi quelle che ti sembrano solo ‘macerie’ e allora devi ‘spalare’, frugare per trovare ancora una volta il tuo presente, per ricostruire i fili della la tua storia.

Però, com’è bello il tuo paese il primo giorno che arrivi! Sembra sorriderti e ti si apre il cuore, ed allora in quei momenti ti i accorgi che lo ami profondamente, anche se non cambia mai niente, anche se lo sguardo delle persone è sempre più rassegnato e stanco, anche se sai che quei bambini che vedi giocare fuori sono senza futuro, ma giocano ugualmente. Eppure lo ami, lo ami lo stesso il tuo paese e pensi a quanto sia strano che per accorgertene devi starne lontano ed allora gioia e dolore cominciano ad avere un confine indefinito e incerto. Il tuo paese è sempre lì che ti guarda con gli occhi di sempre, sei tu che sei cambiato e non sai se scappare subito o restare quei pochi giorni. È una frattura che forse non riuscirai mai più a sanare. E quando devi ripartire ti chiedi sempre perché, perché non puoi sperare, soffrire, lottare e vivere in mezzo alla tua gente, nella tua terra. Le domande di sempre che mi frullano in testa mentre preparo di nuovo la mia valigia e la riempio di cose apparentemente insignificanti, per gli altri, ma che nascondono frammenti del mio vissuto, come se portarli dietro mi facesse avvertire di meno la nostalgia. Durante il viaggio in treno mi accompagnano immagini un po’ confuse di questi mesi di permanenza a Milano. Forse se dovessi scegliere, qualcosa che racchiudesse questa mia breve esperienza è proprio quel senso di futuro che si assaporavo a Milano. 

In fondo vedere la gente muoversi, lavorare, non fermarsi mai mi dava adesso, a mente fredda, come la sensazione che il mondo girasse, si muovesse e tu ti muovessi con lui e poi mi viene in mente Arturo e la sua frase “per me stare senza fare niente è inconcepibile. “Già, quel senso di futuro che al meridione assaporiamo raramente perché tutto sembra avvolto e rinchiuso in un eterno, stagnante ed infinito presente. Milano con i suoi mille volti diversi che ti fanno capire quanti mondi possono esistere oltre al tuo. E penso allora anche a tutta quella gente del sud che in fondo deve ringraziare Milano; tutta quella gente che non conta più i giorni sul calendario; penso alle donne che a Milano non sono perseguitate dal grande occhio collettivo e possono vagare e vivere libere con i loro sentimenti e le loro emozioni; penso a chi tutto sommato non si è ‘prostituito’ alla cultura del nord e riesce armonicamente a conciliare e vivere le due dimensioni che porta dentro sé: la lentezza e la velocità; forse per queste persone il sud, la loro terra, è rimasta un territorio della loro anima dove hanno potuto piantare e far germogliare anche altre radici e far crescere cosi un rigoglioso giardino con fiori diversi.

„12 LUGLIO – EPILOGO  – Una strana e curiosa immagine mi si presenta alla vista nella piazza principale del mio paese: il solito bidone della spazzatura pieno stracolmo che si rovescia per terra e lo stesso gruppetto di politici del “qui-ci-vuole-un’-alternativa.” ‘Strana’ quell’immagine lo era perché l’assenza ed il distacco danno alle cose un aspetto diverso; se fossi rimasto qui la cosa mi sarebbe apparsa normale. Quando parti e ritorni le cose, le persone, sembrano parlarti con un linguaggio diverso: i tetti delle case, i vicoli sporchi dove sempre giocano i bambini, tutto sembra che ti avvolga in un caloroso e rassicurante abbraccio materno; in questo senso la tua terra è proprio come una madre: puoi assentarti o scappare dal suo grembo per trenta o quaranta anni, al tuo ritorno il suo abbraccio è lo stesso, anche se sembra dirti: “II mio abbraccio è tutto quello che posso offrirti, decidi tu”, lasciandoti quasi in un’angosciante lacerazione. Partire e ritornare significa rivedere, capire finalmente che quella è la tua terra. Quelle voci, quei rumori, quei ‘sapori’ che ti arrivano mentre sei disteso sul letto o avvolto nei tuoi pensieri, sembrano fili che percorrono la tua interiorità, la tua vicenda umana, la tua storia e che uniscono dentro di te passato, presente e futuro, riconsegnandoti a te stesso, quasi come gli affluenti che trovano il loro fiume. 

Partire e ritornare significa riscoprire: le tue cose, i tuoi oggetti, le persone, i luoghi; quasi come un cieco che riacquista la vista. Partire e ritornare significa cambiare, ed allora capisci che non serve aspettare; capisci che l’odio e la rassegnazione che si provano restando sempre qui non sono altro che rabbia camuffata: la rabbia di chi vede attorno a se l’eterna immutabilità delle cose.

Forse comincio solo adesso a darmi una risposta. Perché avevo deciso di partire? Forse perché partire e ritornare significa capire che quel quadro che ti sembra dipinto sempre con gli stessi colori, in fondo l’ho dipinto anch’io ed anch’io quindi posso adesso usare colori diversi; tutti possiamo usare colori diversi. Penso che ritornerò di nuovo a Milano, ho lasciato lì tutta la mia roba. Questa volta, però, farò un biglietto andata e ritorno. Ma chissà perché non mi sento placato; è come un cerchio che non si chiude e forse mai si chiuderà. Sono di nuovo nella mia stanza, vago alla ricerca di qualcosa che non definisco e di nuovo gli occhi mi si posano sullo scaffale dei libri e scorro i titoli roteando gli occhi, come ho fatto il giorno in cui sono partito. Un piccolo libro fuoriesce dalla fila ordinata: è “Aforismi” di K. Gibran; c’è un segno a pagina 23 fatto chissà quando e chissà perché. Leggo: “La mia casa mi dice: “Non lasciarmi, perché è qui che dimora il tuo passato”. E la strada mi dice: “Alzati e seguimi, giacché io sono il tuo futuro”. Ed io dico alla casa ed alla strada: “Non ho passato e non ho neppure un futuro, se resto qui, vi è un andare nel mio restare fermo; se vado, resto fermo anche andando”.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp