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Cupi a notte canti suonano \ da Cosenza su ‘l Busento, \ cupo il fiume gli rimormora del suo gorgo sonnolento \ su e giù pe ‘l fiume passano \ e ripassano ombre lente: \ Alarico i Goti piangono, \il gran morto di lor gente”. Con i versi del Platen tradotti in italiano da Carducci, ritorno con la fantasia al fiero condottiero, seppellito secondo la leggenda con l’intera armatura ed il fido cavallo al confluire dei fiumi Crati e Busento, tutte le volte che mi affaccio dal “Ponte Martire” nel cuore del centro storico cosentino.
Nonostante la speranza di vederne affiorare qualcosa ancora non si sia realizzata, ritorno spesso in questo punto preciso della Città. Il panorama che vi si gode, infatti, è avvincente sia perché nei suoi pressi si sommano, prendendo velocità, i fiumi Crati e Busento e sia perché, da questa particolare postazione, è possibile racchiudere in un solo colpo d’occhio secoli di storie, uomini e vicende diverse. Ecco, infatti, il cinquecentesco complesso domenicano che ospitò Tommaso Campanella, il Convento dei Minimi con una statua di San Francesco da Paola fra le più barocche che conosco e piazza dei Valdesi che, nel proprio nome, ricorda quella numerosa colonia di Esuli francofoni che ripararono nel XIII secolo nell’Entroterra dell’alto Tirreno cosentino.
Nella stessa piazza, inoltre, s’innesta Corso Telesio che, arrampicandosi verso il duecentesco Duomo ed il colle Pancrazio, è a sua volta un vero e proprio viaggio nella Cosenza del 1500. Grazie ad una politica urbanistica intelligente, il centro storico cosentino può essere definito come una vera e propria “isola felice”. Non abita, per fortuna qui quella Calabria che, pur non avendo ecomostri riconoscibili come la barese “punta Perrotti” o come “l’albergo di Fuenti” noto abuso edilizio della Costa amalfitana, ha troppe volte visto violentate impunemente le proprie bellezze. Conosciuta anche come “Capitale dei Bruzi”, fiera popolazione autoctona che fu domata non senza difficoltà dai Romani, Cosenza può essere definita la più calabrese delle città calabresi.
Più contadini che commercianti, i Bruzi caratterialmente furono, per gli antropologi, l’antitesi dei coloni magno greci che, pur dominando a lungo sulle coste calabresi, continuarono sempre a sentirsi Greci. Capita così che “l’opposizione fra la Calabria dei Boschi e la Calabria delle marine – spiega l’antropologo Raffaele Siri – non è solo opposizione climatica, disagio di comunicazioni: è opposizione viscerale e psicologica: retaggio di storie sepolte ma non rimosse, oscuramente presenti nella matrice della stessa esistenza: Brutio e Magna Grecia, entità a confini indefinibili”
“Non fu mai facile la vita dei Filosofi!”: E’ questa la considerazione che faccio ogni qual volta mi capita di visitare il convento cosentino di San Domenico. Fa’ una certa impressione, infatti, pensare che anche in questo chiosco visse ed approfondì la propria enciclopedica cultura frà Tommaso Campanella, nato “a debellar tre mali estremi: \ tirannide, sofismi, ipocrisia”. Da Socrate in poi, quasi per una legge del contrappasso, il “reato d’opinione” fu quello maggiormente punito nella storia della filosofia occidentale.
Se a Socrate nell’Atene culla della democrazia toccò la cicuta, Campanella salvò la vita simulando la pazzia e scrivendo, in lunghi anni di carcere, la sua opera più poetica oltre che filosofica, quella “Città del Sole” che, collegandosi alla repubblica platonica, rappresenta un’utopica Comunità di uguali che hanno tutto in comune, mogli e figli compresi. Ma è ora di proseguire il nostro percorso ed iniziamo, così, il nostro itinerario che attraverserà tutto Corso Telesio. La prima considerazione che è possibile fare, percorrendolo, è che probabilmente per lungo tempo intorno ad esso ruotò, fin dal medioevo, l’intera Città. Oltre ad una ragnatela di stradine ecco, vari palazzi nobiliari costruiti fra altrettante case di più umile fattura. A rendere ancora oggi vivo Corso Telesio alcuni laboratori artigianali e di generi alimentari in cui è possibile acquistare alcuni prodotti tradizionali come i profumati capicolli e latticini silani ed il famoso pane casereccio di Parenti: paesino silano famoso per i propri forni a legna e per l’abbondante produzione di patate.
Come gustare il pane di Parenti? Un’ ottima colazione può essere una bella e calda “Pitta” che a forma di ciambella o di pane tondo, è un pane tipico della Grecia e di molti altri Paesi del Medio Oriente. Dopo essere impastata con farina, lievito, acqua ed olio viene, solitamente, fatta lievitare in un forno a legna. Quando è ancora calda, basta un filo d’olio ed un po’ di quel pepe rosso che è uno degli ingredienti più noti della cucina calabrese. La rivalutazione di queste botteghe artigianali, con una finalità che è anche di ricerca antropologica oltre che turistica e culturale, rientra nelle finalità dell’ associazione “Botteghe di Alarico” che, nata nel 2009, rappresenta un interessante progetto di promozione culturale oltre a promuovere la vita nel centro storico cittadino con una pluralità di iniziative culturali organizzate nei vari mesi dell’anno.
Fra le botteghe artigianali che hanno aderito al progetto, una prestigiosa liuteria cosentina, quella attualmente gestita da Alessandro Carpino operante, sul Corso cosentino, fin dagli anni ’20 del secolo scorso. Entrare nella bottega vuol dire essere catturati fin da subito dal profumo delle colle e del legno stagionato oltre che dai tradizionali utensili, ormai quasi definitivamente scomparsi. Nello stesso locale nascono e vengono quotidianamente curati tutta una serie di strumenti ad arco, dai violini alle viole, dai mandolini alle tradizionali chitarre battenti: chitarre a quattro corde dalle curve poco pronunciate e caratteristiche per la presenza di una rosetta di pergamena colorata o traforata in legno nel foro di risonanza che ne caratterizza il suono.
Siamo intanto arrivati nei pressi del Duomo, in cui si venera sotto il titolo spagnoleggiante di “Madonna del Pilerio” una bella Odigitria, patrona di Cosenza. Eretto sulla stessa area del precedente Duomo romanico, il luogo sacro è caratterizzato da un’austera facciata con tre portali in pietra arenaria e da un rosone in cui è raffigurata l’Ascensione. Al suo interno, diviso in tre sobrie navate fa bella mostra di se, nella navata di sinistra, il sarcofago tardo antico impreziosito dalle figure mitologiche di Meleagro e del cinghiale Calcedonio, in cui fu sepolto Enrico VII lo sfortunato figlio di Federico II.
Piazza Prefettura ed il Teatro Rendano sono, intanto, vicini ed abbiamo quasi terminato il nostro tragitto. Nella stessa piazza, infatti, termina Corso Telesio e la nostra passeggiata. Prima di cercare un po’ di riparo alla calura nei vicini giardini pubblici o di concederci una visita nel Museo civico che fa angolo con il noto teatro, sostiamo un attimo all’ombra del monumento a Bernardino Telesio che, nel XVI, per le sue critiche all’Aristotelismo meritò la messa all’indice di alcuni scritti ma anche il riconoscimento, da parte di Francesco Bacone, d’essere stato “il primo degli uomini nuovi”. Casualmente, il nostro percorso era iniziato con le eresie di Tommaso Campanella e dei Valdesi e si conclude con quelle di Telesio. Che siano proprio le eresie un “trait d’union” nella storia cosentina?
Francesco Rizza
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