Considerazioni sparse (e inattuali?) sulla terra di Calabria con digressioni su tutto il Mezzogiorno di Luigi Capozza – Quarta Puntata.

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In questa quarta puntata continuiamo a considerare il potente e complesso apparato economico della Calabria e del Meridione fin dal periodo bizantino come smentita eclatante e documentata della storiografia ufficiale e risorgimentale. La lana meridionale segue gli stessi circuiti commerciali dell’olio in quanto, fino ai primi decenni del Settecento, la produzione eccedente è convogliata al porto di Venezia e nei decenni successivi a quello di Marsiglia. Poi, a partire da metà Seicento, quantità sempre più consistenti sono assorbite dai poli delle province della nascente protoindustria campana ed abruzzese. Quanto alla seta, invece, all’esportazione verso le città toscane e verso Venezia subentra quella verso l’Inghilterra e soprattutto verso la Francia. Nel Cinquecento, comunque, quello che sarà poi l’asse definitivo dei trasporti, che si affermerà nel corso dell’età moderna, risulta già ben delineato: da tre punti della capitale – dalla piazza di Capodichino, da Poggioreale fuori Porta Capuana e dal ponte della Maddalena – si diramano, verso le province ed i confini dello Stato, le principali arterie stradali.

Le prime due sono costituite dalla Regia Strada degli Abruzzi e dalla Strada per Roma, che dopo aver percorso un tratto in comune, partendo da Capodichino ed attraversando Aversa e Capua, si dividono poi in due rami. Il primo, dopo essersi biforcato verso Caianiello, prosegue per Venafro, Isernia, Casteldisangro, Roccaraso e, dopo aver attraversato l’altopiano delle Cinquemiglia, tocca Roccavalleoscura, Pettorano, Sulmona, Popoli, Pescara, Teramo (altri rami collegano, Isernia a Campobasso, Roccaraso a Lanciano, Sulmona ad Avezzano e Palena, Chieti a Francavilla ed a Villareale, Pescara a Vasto e Termoli, Popoli all’Aquila); il secondo attraversa Mondragone, S. Agata, Fondi fino a spingersi a Roma. Invece la Strada Regia delle Puglie ha origine da Porta Capuana e Poggioreale, prosegue per Pomigliano d’Arco, Marigliano, Baiano, Mugnano si inoltra nel Principato Ultra, toccando Monteforte, Avellino, Ariano, e poi nella Puglia tocca le maggiori città portuali: Cerignola, Barletta, Trani, Giovinazzo, Bari. È su quest’asse principale – considerato che la strada del grano avrebbe condizionato la specializzazione produttiva di più di una città, a cominciare da Avellino ed Ariano – che si innervano una serie di importanti arterie che collegano alla capitale altri importanti centri cerealicoli: Melfi, Foggia, Cerignola, Lucera, Manfredonia, Sansevero, Troia, spingendosi fino ai confini del Molise cerealicolo.

Un’altra importante arteria, ma la cui costruzione risulta quasi completamente settecentesca, è la Strada sannitica o Strada per Termoli, che nel tratto iniziale (Capodichino, Casoria, Maddaloni) coincide con la Strada d’Abruzzo e poi si inoltra attraverso i versanti del Sannio, arrivando a Solopaca, S. Lupo, Campobasso, Campolieto. Infine la Strada Regia per la Calabria, che passando per Ottaviano, Torre del Greco, Torre Annunziata, gli scavi di Pompei, Scafati, Nocera, Cava, Salerno, attraversa il territorio di Eboli, e di qui si inerpica verso il Vallo di Diano e la Calabria (Polla, Casalnuovo, Morano, Castrovillari) fino a Cosenza, Monteleone, Bagnara e Scilla.  Sullo Ionio Crotone contribuisce con il suo grano all’ingente fabbisogno della capitale. Il prodotto principale di esportazione resta la seta spedita, nel corso del Cinque-Seicento, dai porti calabresi verso Genova, Venezia e Firenze. Pur non conoscendo l’esatta quantità del flusso portuale, a causa del contrabbando, Galasso calcola per la prima metà del Cinquecento una produzione di 400.000 libbre, che raddoppia nella seconda metà del secolo.

Al di là del volume complessivo delle contrattazioni delle merci, due appaiono gli elementi importanti, almeno per il periodo che va dal Cinquecento agli anni ’20 del Seicento: la composizione interna merceologica dei prodotti trattati; la specifica funzione di fiera di “cambi”, ossia di regolazione di contrattazioni già avvenute altrove. Dai dati che abbiamo a disposizione per il Cinquecento, nei due appuntamenti fieristici annuali emerge come la composizione merceologica, oltre ad interessare prodotti delle aree del Principato (indumenti, cuoio, cera, pelli, bottoni, riso, miglio, formaggi, alici, animali bovini e bufalini), riguardi anche merci importanti, di più alto valore aggiunto, come i pannilana e la seta. Quest’ultima, in particolare, collega strettamente città come Salerno, Cava de’ Tirreni, Amalfi, Sanseverino con altri centri di produzione e raffinazione del Regno, come Cosenza e Catanzaro. Soprattutto nel Cinquecento, la seta semigrezza siciliana e del Regno di Napoli contribuisce alla tenuta dell’unità dell’economia italiana grazie all’esportazione di questo prodotto verso economie forti come Firenze o altre città settentrionali […]

Fra le merci immesse nella dogana di Vietri sono prevalenti derrate e materie prime (fichi secchi, lana, formaggio, vino, olio, pelli, guado) importate dalla Calabria, dal Regno di Sicilia, e funzionali ai rifornimenti alimentari delle città campane o alla produzione della protoindustria. Assumono la loro importanza le tonnine ed altri prodotti ittici importati dalla Sicilia e dalla Calabria; poi una serie di merci, come cotone filato, baccalà, piombo e stagno che arrivano da Livorno, in alcuni casi passando per Malta.

Dal Regno di Sicilia sono immessi prevalentemente prodotti agricoli e materie prime: compare l’olio calabrese, una consistente quantità di formaggio e di fichi secchi, destinati a Napoli o a Roma, e ancora qualche partita di acciughe, sardine, di balle di lana. Per mare arriva la lana sudicia calabrese … […]È la forte domanda di paste alimentari che fa compiere ai pastifici il salto di qualità, non tanto e non solo per la migliore e più variegata produzione, quanto per la ricerca di una migliore qualità di grano duro; così da Roma e da Civitavecchia in cambio di questi prodotti si importano grandi quantità di pezze di lino, da Livorno prodotti delle nuove drapperie inglesi, baccalà, materia prima per la lavorazione della lana, stagno, piombo. A Livorno arrivano soprattutto tonnine e tarantinelle imbarcate dal porto di Vietri. Dalla Sicilia e dalla Calabria pezze di lino, tonnine ed olio per la loro lavorazione. [E qui va precisato qualcosa sui] tratturi [come dire, storicamente schifati come atavici sentieri della transumanza e dei boscaioli e invece erano come] le moderne autostrade.

Tipologia della merce nel Regno, n. di colli – Valore e Destinazione

1) saiette e saie della Costa; peluzzi del Regno; panni di Cusano e coppole; berrettini, mante di lana; calzette; pezze e peluzzi di Piedimonte ed altro 772.319,01: 11 Reggio; 12 Tropea; 11 Monteleone; 5 Catanzaro; 3 Cosenza; 3 S. Eufemia; 1 Ascea; 2 Belvedere; 4 Calabria, altri paesi; 1 Maratea; 1 S. Eufemia; 1 Vibonati; 1 Scalea ;  2) panni e coppole di Sanseverino ed altro 14 281,65: 4 Tropea; 2 Reggio; 2 Catanzaro; 1 Agropoli; 1 Castrovillari; 3) panni di Franza 4 382 Tropea; 4) coppole e sangalli 3 44,66 2 Malta; 1 Sicilia; 5) tele di Nocera 4 14,74 4 Costa di Amalfi; 6) filo bianco-cotone, calzette di cotone; filato e fustagno 3 11,5;1 Reggio;1 Tropea; 7) tonnare vecchie 1 4,5 1 Pizzo; 8) mostaccioli e confetture 1 2,66 1 Monteleone (VV); 9) porcellana; piatti di 10 86,8:  4 Reggio; 2 Tropea; 10) guado 2 4,5 1 Paola; 1 resto della Calabria; 11) griso 1 2,5 1 Reggio 12) carta-pergamenna di Solofra 4 27,32 1 Monteleone; 1 Tropea; 13) carta da Scrivere 2 53,5 1 Tropea; 1 resto della Calabria; 14) vetro 4 8,66 1 Paola; 1 Rossano»  (Le vie di comunicazione nel Regno di Napoli , da “PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO  SAGGI”  di Giuseppe Cirillo).

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