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Al tempo della rivolta del 1799, Catanzaro contava la presenza di due logge massoniche che si erano costituite intorno alla figura di Antonio Jerocares, intellettuale giacobina fra i più noti nella Calabria del suo tempo, ma dopo il 1807, per la sua posizione anti francese fu privata dai alcuni uffici amministrativi trasferiti a Monteleone, l’attuale Vibo Valentia. Dal ‘punto di vista culturale, invece, quello francese fu per la Città un periodo di fermenti. Nel 1808, per esempio, vi fu istituito un “Real Collegio” che avrebbe ospitato un Liceo e venne fondata la facoltà di Giurisprudenza. A partire dal 1811, il sindaco Antonio De Riso lavorò per a realizzazione di un’industria tipografica che avrebbe consentito, con la pubblicazione di libri e giornali, la diffusione di cultura e nuove idee. In necessario piombo veniva estratto e lavorato a Grotteria cittadina ai confini fra le attuali province di Catanzaro e Reggio Calabria. Ed il 22 giugno 1810 Gioacchino Murat avviò la costruzione di un nuovo acquedotto.
Tutti questi fermenti, per Catanzaro cessarono con la restaurazione borbonica e la città ritornò nella pacifica sonnolenza dei decenni precedenti, con l’avallo della Corte borbonica come, nel 1825, attesta una lettera che re Francesco I invia al conte Cicala promuovendo la volontà di “far continuare la marcia delle cose come trovai stabilita, senza farsi alcuna novità di sistema, di andare facendo delle modificazioni, se sarà necessario, ma calcolandole e senza che mai abbiano l’apparenza neanche di innovazioni, perché sono ben persuaso – spiega il Monarca – che qualunque cambiamento non farebbe che produrre urti”.
Aneliti di libertà, comunque, si registrarono come spesso succede nelle nuove generazioni venendo velocemente lavate nel sangue. Era, per esempio, il 24 marzo 1823 quando i ventenni catanzaresi Luigi Pascale e Giacinto Jesse, insieme al dipignanese Francesco Monaco furono impiccati per aver preso parte, nel 1821, ai moti anti borbonici. Comunque, erano quegli gli anni quando le logge massoniche furono alquanto attive in quella che sarebbe diventata, dal punto di vista amministrativo, la “Capitale” calabrese per antonomasia. I pochi nomi di carbonari a Catanzaro ricordati dalla storia furono in quegli anni Pasquale Calcaterra originario di Dasà, Antonio Angotti e particolarmente l’arciprete Domenico Angherà che fondarono la “Società evangelica”. Questa rappresentò, a detta degli intenditori, di una delle sette risorgimentali più importanti nel Risorgimento meridionale.
A metà degli anni ’30, lo spirito liberale tornò a furoreggiare a Catanzaro, intorno alla figura del professore Luigi Settembrini che poteva contare sulla collaborazione di personaggi come Mugolino, torelli, Marincola ed il De Riso. Lo stesso gruppo di liberali era in contatto con altri massoni del Regno e particolarmente di Napoli. Il loro gruppo, che alcuni ritengono fosse collegato alla “Giovane Italia” fu violentemente sciolto da chi deteneva il potere. Luigi Settembrini, infatti, fu tradito dal sacerdote Nicola Barbuto che si era offerto di recapitare a Napoli alcune sue lettere che, invece, furono consegnate all’ Intendente governativo che face arrestare l’Intellettuale catanzarese.
Fra le sue opere letterarie dedicate all’ agognata Unità nazionale, non possiamo fare a meno di ricordare “Le Ricordanze” una sorta di diario che Settembrini scrisse dalla fanciullezza al 1848 rappresentano una miniera inesauribile di eventi e di nomi riguardanti la vita politica e culturale esistente a Napoli negli anni dal 1830 e del regime poliziesco. Anche dalle sue pagine apprendiamo che lo Stato repressivo del tempo opprimeva la popolazione del Regno con continue ribellioni e feroci repressioni, con nomi dei patrioti fucilati ed impiccati, anche per soli reati di opinione.
Settembrini fu l’autore di quella famosa “Protesta del popolo delle Due Sicilie”, dove rifacendosi agli altrettanto famosi “Gli ultimi casi di Romagna” di Massimo d’Azeglio, mise a nudo tutte le colpe del governo borbonico, piccolo aureo libro che si diffuse nel e fuori del regno, confermando la frattura ormai insanabile tra la dinastia allora regnante e la classe media ed intellettuale del paese.
I Moti del 1848 furono preceduti a Catanzaro dalla nascita di un comitato civico di cui facevano parte Eugenio De Risio, il barone Vincenzo Marsico, Angelo Morelli e Rocco Suranna. Intorno a questi personaggi che nel comitato rappresentavano la classe dirigente si unirono numerosi popolani e commercianti che avrebbero ottenuto risultati migliori se non avessero registrato problemi economici.
Arrivate da Napoli le truppe del generale Nunziante, una giornata epica per la restaurazione fu il 27 giugno quando ad Angitola si svolse un combattimento fra le fazioni. Le truppe borboniche, anche per il numero dei propri militi, ebbero la meglio. In seguito agli eccidi che si registrarono a Pizzo e Filadelfia, il Comitato catanzarese si sciolse e molti che ne facevano parte si dispersero non solo nel circondario.
Francesco Rizza
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