Calabria accogliente: l’ Arberia e le sue tradizioni

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Nella Sibaritide, nel Crotonese e nel Catanzarese, come in Basilicata ed in Puglia,  esistono numerosi Centri abitati da Italo Albanesi e tracce linguistiche  della loro presenza sono presenti anche in altri Comuni del Marchesato crotonese. “Gli Albanesi – scrive Carmine Gentile nel n° 12 (2011) de “Il CalabrOne” dedicato all’ Arberia crotonese –  giungono nel Regno di Napoli dalla metà del XV secolo in poi e soprattutto dopo la morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Skandeberg, avvenuta nel 1468.

Quella Albanese fu, perciò, un’immigrazione non isocrona. Da quando viene riferito dal maggior numero delle “Historie”, le trasmigrazioni di Albanesi effettuate in Italia sono sette a cui si aggiungono spesso successivi spostamenti all’interno del territorio italo meridionale”. Lo stesso storico, infatti, ricorda nel proprio articolo che “gli Albanesi non hanno stabilito subito e sempre una dimora fissa, ma sono trasmigrati per terre circonvicine, se non da Regione a Regione. Molti di loro sarebbero stati allettati a lasciare le primitive sedi dalle sedi dalle speciali concessioni feudali offerte dal duca di Nocera, Alfonso Carafa, e da sua moglie Giovanna Castrista, figlia di Fernando e sorella di Irene principessa di Bisognano”.

Personaggio epico dell’ Albania e molto conosciuto ed amato anche in Calabria, come abbiamo già accennato fu  Skandeberg, condottiero nato  a Kruje. Dal portale detta “Treccani” apprendiamo che “con questo nome, datogli dai Turchi, è generalmente noto Giorgio Castriota, l’eroico difensore dell’indipendenza albanese contro l’invasione ottomana nel sec. XV. Nacque nel 1403 da Giovanni Castriota, signore di alcuni villaggi nel territorio dei Matija e dei Dibra e forse anche di Croia (vedi Castriota) e da Voisava, figlia di un dinasta serbo. Caduto Giovanni sotto la sovranità ottomana, intorno al 1415 Giorgio fu inviato come ostaggio alla corte del sultano. Si segnalò presto per la sua forza straordinaria e per la sua audacia nelle guerre asiatiche acquistandosi l’ammirazione e la fiducia del sultano che   gli affidò il comando di importanti forze nelle guerre contro i Serbi, gli Ungheresi e i Veneziani.

Ma l’Islam non era penetrato a fondo nella sua anima e quando, nel 1443, gli eserciti cristiani guidati da Giovanni Hunyadi, passato il Danubio, disfecero gli Ottomani a Niš, Giorgio, approfittando della confusione, abbandonò le insegne del sultano, s’impadronì con l’astuzia di Croia e iniziò il moto di riscossa dell’Albania. La sua clamorosa defezione, il possesso di Croia, il suo ritorno alla fede cattolica, il suo matrimonio con la figlia di un potente dinasta, Comneno Arianite, il successo delle sue prime imprese gli diedero ben presto un prestigio invincibile non solo fra i suoi connazionali ma anche fra gli stessi nemici”.

 Per la lingua che si parla in questo territorio, come evidenzia Maria Ciancioruso nella stessa rivista che “molti dialetti arbresche risentono sia dall’influenza tosca che di quella gerga e ciò è dovuto che, probabilmente, prima degli Arbaresche in Italia la divisione tra i due dialetti non era ancora netta”.

 Relativamente alle tradizioni popolari nell’ Arberia “nella liturgia della Settimana Santa – osservava Franco Filottete Rizza ne “Il CalabrOne – Speciale Sibaritide” (dicembre 2017) – in tutta la Calabria si rinnovano i più suggestivi momenti del sublime sacrificio del Figlio dell’Uomo attraverso commosse manifestazioni popolari ormai secolarizzare dalla tradizione in cui la fede più sincera si esprime nel più genuino folklore. Altamente suggestiva per la ricchezza dei riti, per i momenti profondi di preghiera unitamente alla bellezza dei costumi è la Settimana Santa detta “la Grande Settimana” celebrata nei Paesi albanesi della Calabria dove è vivo il folklore e la tradizione della madre Patria nel rispetto del Rito bizantino, tuttora conservato gelosamente e praticato nella sua integrità in tutto il mondo ortodosso”.

  Fra le tradizioni del Triduo Pasquale dell’ Arberia di Calabria, il Giovedì Santo registra la celebrazione della Liturgia di San Basilio il Grande nella cattedrale di Lungro. Il Venerdì Santo è un susseguirsi di riti, canti e preghiere che celebrano la morte, la deposizione e l’adorazione del Cristo morto. Nel pomeriggio, per esempio, si svolge la “Akotuthia”: una commovente celebrazione religiosa per la quale, al centro delle chiese viene posto il “Talos”: un’urna contenente l’icona del Cristo morto intorno alla quale i “Papas” sacerdoti del Rito bizantino celebrano le orazioni funebri della “Stasi”.                                                                                                                      

Fra le funzioni del Sabato Santo, ancora nella Cattedrale di Lungro, ha luogo la Liturgia di San Basilio, con la quale si preannunciala Resurrezione con lo scioglimento delle campane che suonano a festa ed il lancio di foglie d’alloro e fiori benedetti al canto del ritornello “Ton Kirios Imnite le iperipsute is padusius eonas” (lodate il Signore e soppesatelo in tutti i secoli). La Domenica di Pasqua è il giorno del “Kristos Anesti”il canto del Cristo Risorto e “Kristos Anesti”è l’augurio con cui gli Italo Albanesi  si salutano.  Altri canti della settimana santa ortodossa sono i canti del “Kalmiere”(dal greco buongiorno) scritti da Giulio Variboba vissuto fra il 1725 ed il 1788. Altre manifestazioni della Pasqua ortodossa in Calabria sono le danze delle Valje”molto simili alla “Creola” degli antichi Romani dalla quale sarebbe nata la tarantella, danza notissima del Meridione italiano. Nel corso di questo ballo che il lunedì ed il martedì dopo Pasqua celebra le vittorie di Skandeberg i danzatori formano una specie di serpentone, guidati dai “Lumurore (portatori di bandiere) che imprimono alla danza un ritmo vertiginoso.

Altrettanto affascinanti le particolarità relative al culto dei morti. A differenza del resto della Calabria e del Mondo cattolico, nell’ Arberia calabrese la commemorazione dei defunti ha una sua propria caratteristica meno triste ed una datazione che si discosta alquanto dal 2 novembre. “I Romani – osserva Armando Orlando nell’opera “In Calabria cronaca, costumi, storia e tradizioni”pubblicata dalla Rubbettino nel 1998 – dedicavano al culto dei morti ben nove giorni di febbraio. Avevano l’abitudine di offrire fiori, farina. sale e pane inzuppato nel vino, concludendo le celebrazioni con l’offerta di libagioni sul sepolcro del defunto. Che i morti portano la vita, scrive Alfredo Catalani,  è una credenza anche italiana. Ed è questa credenza a spingere le popolazioni di origine albanese a commemorar i defunti con manifestazioni di gioia e di amicizia, seguendo ancora oggi l’antico Rito bizantino”.            

  Come dicevamo, nell’ Arberia il periodo della festa dei morti non è il 2 novembre ma il sabato precedente al Mercoledì delle Ceneri quando in tutte le case vengono tenuti accesi alcuni lumini nelle ore notturne che servono ad indicare la luce ai defunti che, proprio in quella notte dell’ anno liturgico possono raggiungere le abitazioni in cui sono visite da vive. Il sabato mattina, invece, è tradizione dei Centri albanofoni la visita ai Campi Santi dove sulle tombe dei morti i loro familiari depongono il pane, il vino ed alcuni dolciumi, offrendoli ai parenti ed agli amici che passano a visitare le stesse tombe. Si tratta, come osserva Armando Orlando  di un’antica tradizione che, attraverso i secoli, mantengono in vita ed in evidenza i  valori  tipici di un mondo contadino ancora vivo in Calabria.

Francesco Rizza

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