Agricoltura e Religione: Il Cedro calabrese nella trazizione ebraica.

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Se la Costa amalfitana è golosamente famosa per la produzione del limone e del limoncello, ad alcune centinaia di chilometri più a sud, sul Tirreno calabrese, importante è la coltivazione dei cedri che denominano parte della Costa calabrese. Si tratta di frutto altrettanto gustoso ma, forse, poco noto la cui produzione in Calabria sarebbe stata importata dagli Ebrei la cui presenza in Italia è stata commemorata con la “Giornata della Cultura ebraica”.

 Originario dell’Himalaya orientale il Cedro che potrebbe sembrare un agrume è, in realtà, il frutto di una conifera e si diffuse sulle sponde del Mediterraneo collegato com’è, come dicevamo alla cultura ed alla religione ebrea.  La tradizione narra che a portare tale frutto nel “mare nostrum” fu Alessandro Magno e questa presenza è attestata da diversi dipinti nelle catacombe romane della via Appia, nei resti di Pompei ed Ercolano. Oltre che per il pregevole legname i Romani ne facevano gran uso in cucina, ggiungendolo a pezzetti al garum: una salsa di pesce crudo in salamoia.

La Bibbia racconta addirittura che fu Dio a indicare a Mosè nel suo viaggio verso la Terra promessa proprio l’albero del cedro, insieme al mirto, alla palma e al salice fra le quattro piante da utilizzare nelle annuali feste delle Capanne e dei Tabernacoli. Per essere utilizzato in tali feste, però, la pianta deve provenire da una “talea” non innestata ed anche i suoi frutti devono essere perfetti nella forma conica. Capita così che il Popolo del libro, da sempre, cerca tali frutti perfetti anche a costo di lunghi viaggi e ingenti spese.

Nell’Italia meridionale, dove la presenza ebraica fu intensa fra X sec. a.C. e XVI sec. d.C. (quando nell’ottobre 1.541 Carlo V decise di espellere tutti gli Ebrei dal Regno di Napoli), ancora oggi sono numerosi gli ebrei che si recano nell’alto Tirreno calabrese per raccogliere i cedri coltivati secondo un’antichissima tradizione ossequiosa delle regole del “Pentateuco”. A mantenere viva questa coltivazione, che ha la propria capitale nella cittadina di Santa Maria del Cedro (Cs), la cooperativa “Tuvcat” operante dal 1973 ha meritato per i propri prodotti sia il marchio doc che quello “Kasher”.

La raccolta avviene in due diversi momenti: all’inizio dell’autunno e in novembre. I frutti raccolti in questa prima fase, alla presenza di vari rabbini che appositamente raggiungono la Calabria, sono quelli destinati alle feste liturgiche ebraiche. La tradizione vuole che gli alberi non devono essere più alti di 60 cm ed i raccoglitori devono raccoglierli stando in ginocchio. La seconda raccolta, invece, avviene in novembre quando i frutti hanno già raggiunto altre proporzioni e possono essere utilizzati per mille golosità, come i liquori, gli sciroppi e la marmellata al cedro (65% di cedro e 35% di zucchero), di arance (65% di arance, 35% di zucchero più gli aromi), di limone (65% di limone, 35% di zucchero più gli aromi).

I canditi del cedro sono ricavati dalla scorza del frutto secondo una lunga lavorazione. Dapprima i cedri vengono messi per intero in botti piene d’acqua di mare e sale e dopo circa due mesi, quando ha raggiunto una colorazione cristallina la crosta viene divisa dalla polpa, lavata, fatta bollire e rimessa in acqua. Successivamente, dopo essere stata bollita insieme a dello zucchero viene lasciata riposare per circa 3 settimane, al termine delle quali sarà pronta per i vari utilizzi. Dal punto di vista medico l’ utilizzo del cedro e dei suoi sciroppi è consigliato contro l’acidità gastrica, l’inappetenza, la colite, ma anche l’asma bronchiale.

Francesco Rizza

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