A 50 dai “Fatti di Reggio” la destra prova l’assalto alla Città metropolitana.

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“Nostalgici del Ventennio e sovranisti nuovi di pacca, capi e luogotenenti degli ultras e autoproclamati intellettuali, neocrociati del Movimento pro-vita e cultori del nazismo esoterico, eredi di Terza posizione e neoteorici della “sostituzione etnica”. Tra i quasi mille candidati alle prossime amministrative di Reggio Calabria, a contendersi uno scranno nel futuro consiglio comunale c’è anche un vero e proprio pattuglione di capi storici e giovani promesse di ogni sfumatura della galassia nera”. Ciò è quanro denuncia, sulle colonne de “Repubblica” dello scorso 2 settembre, Alessia Candito.

Nel proprio reportage, la stessa giornalista evidenzia come l’involuzione a destra, nell’unica Città metropolitana della Calabria “sia il centrodestra, che si è compattato dietro il candidato leghista Antonino Minicuci, sia la coalizione “civica” di Angela Marcianò. Ex assessore dell’attuale sindaco dem, Giuseppe Falcomatà, finita in segreteria Pd per volere di Matteo Renzi, Marcianò si presenta come “indipendente” ma guida di una coalizione sostenuta dal “Msi-Fiamma Tricolore” e tiene in pancia più di un nostalgico del Ventennio. Soggetti come Sebastiano Quattrocchi, faccia nota nella curva della Reggina e fino a qualche anno fa gestore di un locale più volte oggetto di attenzioni da parte della polizia”.

 Nutrito, nell’articolo apparso su “repubblica” l’elenco dei candidati reggini che fingono, nella peggiore delle ipotesi, di non sapere quale sia il significato della dodicesima norma transitoria della Costituzione italiana che recita testualmente: “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”.

Uno di questi è Sebastiano Quattrocchi, lo ricordiamo, è un attivista della “Fiamma” che sui social ama raffigurarsi con una foto  a braccio teso nel saluto romano e una descrizione tanto sintetica come inequivocabile: “Un fascista”. La sua  bacheca è un campionario di busti di Mussolini, immagini di Predappio, saluti romani, da solo o in gruppo, post con cui l’aspirante amministratore si gloria di non festeggiare il 25 aprile o che celebrano la XMas, corpo d’assalto della Marina militare che nel ’43 si è schierato con i nazisti ed ha firmato stragi efferate.  

“Zero filtri o quasi usa – si legge nelle colonne di “Repubblica” –  Vincenzo Ciro, numero quattro della lista personale di Antonino Minicuci, segretario  regionale del Fronte nazionale di Adriano Tilgher, ultima costola dell’Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, Ciro si presenta come “studioso di mistica del fascismo”. Sulle sue bacheche, mischia post contro le Sardine “buone solo impanate e fritte” o la presunta “invasione di migranti” a speculazioni sull’Eurasia di Julius Evola”.

Il rinnovo del Consiglio comunale col tentativo di una svolta verso la destra estrema avviene in un “anniversario tondo”. Lo scorso 14 luglio, nelle schermate dell’ Ansa calabrese Giorgio Neri ha ricordato il 50° anniversario della rivolta di Reggio in cui le destre calabresi, guidate da Ciccio Franco, riuscirono a dimostrare tutto ciò che ancora riuscissero a fare a 25 anni dalla fine della “guerra di Liberazione”.  “Tutto ebbe inizio il 5 luglio – scrive Neri – quando l’allora sindaco, Piero Battaglia (Dc), con il suo “Rapporto alla città” , informò i reggini dell’accordo politico-istituzionale in atto a Roma, sull’asse Catanzaro-Cosenza, ai danni di Reggio Calabria. Fu la scintilla di una rivolta – passata alla storia come i “Moti di Reggio Calabria” – che diventerà inarrestabile all’indomani della decisione di convocare a Catanzaro la prima seduta del neo eletto Consiglio regionale della Calabria”.

La sommossa, allora ebbe inizio con una semplice protesta come ricorda Fortunato Aloi già parlamentare e  dirigente del Movimento Sociale che ricorda come “non riuscendo a trovare un interlocutore si trasformò presto in rivolta”. A livello nazionale, l’Italia si trovava senza Governo in attesa di uno dei tanti Governi “balneari” che sarebbe stato approvato dalle Camere parlamentari il 6 agosto a guida di Lemilio Colombo. Nel nuovo Governo rivestivano ruoli di prestigio noti esponenti della politica catanzarese e cosentina. L’Italia in quei giorni era senza una guida. Dopo soli 131 giorni si era dimesso il III Governo Rumor e si dovette attendere il 6 agosto per avere un nuovo esecutivo, guidato dal dc Emilio Colombo, con Psi, Psdi e Pri in cui ricoprivano importanti ruoli esponenti della politica catanzarese e cosentina.

La mattina del 14 luglio,  Reggio divenne teatro di una guerriglia urbana senza precedenti. In piazza scesero tutte le categorie professionali. C’erano anche Demetrio Mauro, industriale del caffè, e Amedeo Matacena, armatore privato dei collegamenti navali nello Stretto, e l’ex comandante partigiano Alfredo Perna.  Anche mons, Giovanni Ferro, metropolita reggino difese la protesta nonostante i suoi toni violenti, mentre  varitieri si autoproclamarono indipendenti, come la ‘Repubblica di Sbarre’ e il ‘Gran ducato di Santa Caterina’.

 “Da  Roma – scrive Giorgio Neri –  il Governo non accettò mediazioni, rispose con la forza e fece in modo che l’informazione pubblica dei tg nazionali mettesse la sordina alla protesta. Ma la rivolta occupò le prime pagine dei quotidiani nazionali.”    “Fu una rivolta di popolo, spontanea ed interclassista”, ritiene Aloi che, però, con  iccio Franco, Renato Meduri e Antonio Dieni, prese in mano la rivolta che diventò la lotta del Msi.

L’impressione di più osservatori fu, che olte ai 5 morti e decine di ferite, le lotte di Reggio rappresentarono  “una sorta di campo di addestramento di un più ampio progetto della destra eversiva, quella che voleva sovvertire l’ordine democratico, con la presenza a Reggio di Junio Valerio Borghese, Franco Freda, Stefano Delle Chiaie. E i legami con oscuri settori massonici e della ‘ndrangheta in un sodalizio politico-criminale con numerosi attentati, come quello che il 22 luglio 1970 fece deragliare a Gioia Tauro il treno Torino-Reggio Calabria”. 

 Francesco Rizza

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